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di FRANCO CIMINO
Il musicista e il Papa davanti alla porta del G8. Bob Geldof e Joseph Ratzinger sono due uomini molto distanti tra loro per età, cultura, formazione, condizione e posizione sociale. Lo sono anche per il lavoro che svolgono. Uno è artista, e fa il cantautore. L’altro è religioso, e fa il Papa. Sono uguali, però, nel comune sentire il problema della povertà, che colpisce più di un miliardo di essere umani.
Con eguale sensibilità sentono l’Africa, quale continente simbolo di quelle cattive contraddizioni che generano la più drammatica delle condizioni umane. Probabilmente, un’altra differenza tra i due si potrebbe rilevare nel punto in cui Bob considera la fame e la povertà come la naturale conseguenza di un sistema economico distorto e ingiusto. E Joseph, come causa di quell’egoismo che mette l’uomo al di sopra di Dio. Bob è venuto a Roma, in questi giorni, per incontrarsi con Silvio Berlusconi, presidente di turno del G8, quest’anno allargato in seconda sessione ai rappresentanti dei paesi del cosiddetto Terzo Mondo.
Non si ha notizia che Bob e Joseph si siano incontrati. Forse, non ce n’era bisogno. Lo hanno idealmente già fatto assumendo la fatica della battaglia per il riscatto degli ultimi della Terra. Cosa dicono all’unisono l’artista e il Papa? Dicono che la crisi dell’economia globale non può essere affrontata con l’arido tecnicismo economicistico, ovvero con il semplice potenziamento dei mercati.
Se così non fosse, la partita si giocherebbe ancora una volta dentro i confini del mondo Occidentale. E gli arbitri continueranno ad essere le potenti banche e le grandi holding finanziarie. Quei soggetti invisibili, cioè, che pur non sedendo al tavolo del G8 decidono di fatto gli indirizzi che i governi prenderanno. L’uomo di religione e l’artista chiedono di invertire la logica dominante e quella sorta di diritto internazionale che la sostiene. E chiedono ai grandi della terra di farsi grandi nel cuore e nell’azione politica.
Chiedono ai paesi forti di approfittare della crisi economica in atto per inventare una nuova economia che sia strumento di riequilibrio territoriale per una nuova redistribuzione della ricchezza mondiale. L’attenzione ai poveri, la generosità dei ricchi, la solidarietà degli Stati non sono pretese da Bob e Joseph sull’altare di un umanesimo cristiano o di un’etica socialistica della vita umana. Tutto ciò che viene sollecitato sul terreno di un’alta spiritualità e di una profondissima umanità, rappresenta il seme di una nuova economia.
Quella che, volgendosi verso i paesi poveri e portando questi allo sviluppo e alla modernità, allarga i mercati e li fa più forti. Diffondendo la conoscenza e l’uso dell’alta tecnologia, rafforza le relazioni culturali tra i popoli e la loro capacità di ricevere culture altre virtuosamente contaminando la propria.
Questo nuovo cammino è la strada per la Democrazia planetaria, la vera sfida del Terzo millennio. Una sfida da vincere a tutti i costi. Essa ha bisogno della politica e delle lotte popolari, mi piace dire del movimento delle persone.
Questa sfida ha bisogno di un leader politico riconosciuto, autorevole e credibile nella parola che pronuncia. Il G8 sarà il teatro in cui Barack Obama potrà dimostrare di poter essere quella guida politica di cui il mondo ha bisogno. Soprattutto se parlerà, Barack Obama, dimenticandosi di essere il presidente degli Stati Uniti d’America per diventare il presidente degli Stati Uniti del mondo libero.

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