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E’ il momento di fare luce sulla vicenda delle «navi a perdere» cariche di rifiuti tossici, ma soprattutto trovare la verità sui veleni che sarebbero sparsi lungo le coste calabresi. È questo l’obiettivo che si è posto il procuratore di Paola, Bruno Giordano, all’indomani del ritrovamento della nave inabissata nel Tirreno a 14 miglia dalla costa di Cetraro col suo carico di fusti che secondo un pentito di ‘ndrangheta contengono fanghi radioattivi.
L’identità di quella nave non è ancora conosciuta, visto che il nome non è leggibile sulla fiancata ripresa dal robot subacqueo, ma di certo, non doveva trovarsi lì, dal momento che nessun affondamento in quella zona è mai stato ufficializzato.
Il che rende quasi certo che si tratti della Cunsky, il mercantile che Francesco Fonti, il pentito di ‘ndrangheta, ha detto di aver fatto affondare con l’esplosivo nel 1992 con il suo carico di 120 fusti con scorie radioattive. A confermalo sarebbe anche lo squarcio a prua, il luogo dove il pentito collocò l’esplosivo.
Giordano al riguardo non si sbilancia. «Noi – dice – partiamo da un dato oggettivo: quella ritrovata è una nave clandestina che ufficialmente non è mai naufragata. L’ipotesi concreta è che sia stata fatta affondare per farla sparire insieme al suo carico». Una delle priorità, dunque, è quella di risalire al nome della neve. Ma prioritario è anche cercare di stabilire cosa trasportasse. E per far ciò, spiega Giordano, è indispensabile l’aiuto dello Stato. Se veramente a bordo ci sono scorie radioattive, è il ragionamento del magistrato, sia l’operazione di recupero di un fusto per l’analisi, sia l’eventuale bonifica, deve necessariamente essere affidata a ditte specializzate che solo lo Stato può mettere a disposizione.
Ancora da decifrare il fatto che Fonti avrebbe raccontato di essere a conoscenza diretta dell’affondamento di altre due navi, e di avere saputo di un’altra trentina di navi fatte sparire nelle profondità marine al largo delle coste calabresi.
Ed ora che il ritrovamento del relitto sembra confermare il suo racconto, si fa sempre più forte il sospetto che il pentito possa avere ragione anche sugli altri affondamenti.
L’assessore regionale all’Ambiente Silvio Greco, invoca l’intervento dello Stato per una ricerca su vasta scala. Inoltre il ritrovamento del relitto getta anche nuove ombre sulla vicenda della Jolly Rosso, la motonave spiaggiata il 14 dicembre 1990 ad Amantea.
Negli ultimi mesi parte dell’inchiesta, condotta sempre dalla Procura di Paola, è stata archiviata, ma resta i piedi quella che riguarda il presunto interramento di scorie radioattive, che si presume si trovassero a bordo della motonave, in una zona più interna, nei pressi dell’alveo di un torrente nel comune di Serra d’Aiello.
Domani l’assessore regionale all’ambiente al Ministero.
L’assessore all’Ambiente della Regione Calabria, Silvio Greco, si recherà domani al ministero dell’Ambiente per parlare degli interventi necessari dopo il ritrovamento del relitto: «Vogliamo essere protagonisti – ha detto Greco, che è un noto biologo – degli interventi, anche di bonifica, perchè abbiamo l’expertise anche se non la competenza per legge ad operare».
Greco, anche oggi, è stato in contatto con il procuratore di Paola che conduce l’inchiesta, Bruno Giordano, e con i funzionari del ministero dell’Ambiente che ieri ha attivato una task force per fronteggiare la situazione.
Nei prossimi giorni, intanto, dovrebbero essere ultimate le prime analisi condotte dai tecnico dell’Arpacal, l’agenzia ambientale della Regione, sui sedimenti recuperati sul fondale marino dove si trova la nave. Si tratta, tuttavia, di campioni, secondo quanto si è appreso, che non dovrebbero dare, per il tipo di materiale, risposte esaurienti circa un’eventuale contaminazione.

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