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di PARIDE LEPORACE
POTENZA -L’inchiesta nucleare connection è chiusa. Non ci sarà processo per Tommaso Candelieri, responsabile dell’Enea di Rotondella e per i suoi stretti collaboratori Giuseppe Orsenigo, Raffaele Simonetta, Bruno Dello Vicario, Giuseppe Lapolla, Giuseppe Spagna, Giuseppe Rolandi, Giuseppe Lippolis. Nessun ipotesi di concorso neanche per l’ex sindaco di Rotondella, Mario Di Matteo e per Luciano D’Adamo. Quindi nessun processo neanche per gli uomini delle ’ndrine accusati di aver trafficato rifiuti in Basilicata. Non si dovranno difendere Giuseppe Arcadi e Bruno Musitano e soprattutto Francesco Fonti per l’ennesima volta risultato teste inattendibile per quello che ha raccontato su una vicenda assunta a notorietà nazionale per il risalto delle inchieste giornalistiche dell’Espresso prima e poi ancora di più con la vicenda della nave dei veleni di Cetraro.
Con grande scrupolo il gip Gerardina Romaniello alla vigilia di Natale ha disposto il decreto di archiviazione non mancando di evidenziare che aveva considerato “la sua indiscutibile ed oggettiva gravità, sotto il profilo della sicurezza pubblica in generale”. Il gip ha condiviso l’impossibilità di arrivare ad una verità giudiziaria leggendo attentamente le ipotesi investigative del pm Basentini che si era già espresso per l’archiviazione.
Sono prive di riscontri certi le dichirazioni di Francesco Fonti e dell’agente segreto Garelli sul presunto interramento di rifiuti radioattivi nel territorio del Metapontino. I due misteriosi personaggi non sono stati in grado di fornire indicazioni precise. E, per fortuna aggiungiamo. anche le indagini tecnico-scientifiche non hanno trovato nulla di sospetto. Anche i traffici di armi e di materiali strategici pur facendo emergere sintomi che hanno fatto continuare le indagini si sono fermate poi ad un punto morto perché numerosi testi “non hanno inteso fonire alcun contributo alle indagini”. Non sono emerse neanche contaminazioni radioattive nel centro di Rotondella. Scrive il gip nella prosa giudiziaria: “allo stato, tenuto conto dell’imponente lavoro investigativo effettuato, di alcuni esiti dirimenti per la prospettazione accusatoria, della persistente mancanza di indicazioni precise per approfondire scenari investigativi solo ipotizzati (ma appunto non verificati per l’assenza di riscontri da parte di- presunte- persone informate), dell’epoca di commissioni dei fatti (che si colloca tra gli anni ’70 ed ’80) non si profila la necessità di ulteriori indagini”. Né tantomeno di un processo.
Restano i contesti. Utile a capire quello che è accaduto intorno alla Trisaia. Ma anche a Scanzano.
Leggendo i motivi della richiesta di archiviazione del pm per esempio apprendiamo che il magistrato si è occupato del generale Carlo Jean. L’uomo del nucleare italiano. Esperto militare al Quirinale dell’emerito presidente Cossiga e stratega dell’operazione Scanzano. Presidente della Sogin, ovvero Società di gestione degli impianti nucleari. Stranamente pur essendo decaduto dalle sue funzioni, Jean dalle indagini risulta essere l’entità grigia di una società che ancora dipende dal governo italiano. Uomini e dirigenti continuano a rivolgersi a lui per le attività di dismissione del nucleare italiano e per tutto quello che riguarda oggi la Sogin. Le intercettazioni hanno anche rivelato che molti politici continuano a contattare lui per le vicende nucleari italiane manifestando un forte interesse a rimetterlo su quella poltrona. Indizi. Jean aveva buoni rapporti con l’ex sindaco di Scanzano, Mario Altieri, arrestato per brogli elettorali, proprietario di una piccola tv privata che intervista personalmente Silvio Berlusconi per un messaggio elettorale in esclusiva dove si annuncia la benzina scontata per i lucani. Altri indizi. Niente prove. Il magistrato sul ruolo del generale Jean, persona molto bene informata dei fatti, può solo scrivere sul suo conto che esiste “la sussistenza di un contesto perlomeno singolare”.
Basentini ha anche scritto nel suo documento di archiviazione che “nello stabilimento di Rotondella erano state depositate, tra la fine degli anni’60 e l’inizio degli anni ’70, diverse decine di barre di uranio provenienti dalla centrale di Elk River, negli USA, per il successivo riprocessamento con il ciclo Uranio-Torio, l’unico che allora era facilmente praticabile”.
Il magistrato nel corso della sua inchiesta ha maturato altra convinzione ovvero che “nel corso degli anni ’80 e ’90, diversi tecnici e studiosi provenienti dal Medio Oriente ( in particolare dall’Iraq) avevano frequentato il centro Trisaia per conseguire il necessario know-how tecnologico, da importare successivamente nei paesi di origine”. Infatti gli uomini di Saddam Hussein frequentavano Rotondella.
Basentini, che ha letto tutte le carte, sa molto bene che un suo collega, il giudice Pace, ha appurato che tecnici iracheni hanno studiato il riprocessamento nucleare a Rotondella. Ed anche quelli pachistani. Ha anche ottenuto una sentenza di condanna, il magistrato Pace. Carta bollata per la pretura di Rotondella . Il 28 novembre del 1998 infatti il pretore in nome della distratta Repubblica italiana condanna i responsabili dell’Enea per fatti connessi all’omessa realizzazione di un sistema di solidificazione dei rifiuti nucleari e per omessa denuncia di episodi di pericolo per l’incolumità pubblica. Sentenza passata in giudicato.
Basentini si è avvalso di alcune testimonianze. Una è quella di Francesco Fonti, ‘ndranghetista, che ha dichiarato di aver trafficato in rifiuti tossici. Ma il bravo magistrato ha appurato che Fonti è inattendibile. Inoltre ha anche accertato che questo personaggio di ‘ndrangheta minore è stato in carcere con Guido Garelli. E’ lui che ha mostrato di saper molto su Rotondella. Munito di passaporto italiano, jugoslavo e dell’Autorità del Sahara spagnolo. Si presenta come ammiraglio di questo stato fantasma, il faccendiere arrestato per un traffico internazionale di auto rubate. Garelli ha prestato il proprio aiuto alla Gran Bretagna osservando quello che accadeva a Rotondella. Gli 007 di sua maestà britannica infatti ipotizzavano, scrive Basentini, “l’esportazione di tecnologia e materiali radioattivi dall’Italia verso il Medio Oriente idonea a consentire a paesi nemici dell’Occidente di dotarsi di armi nucleari”. Una circostanza che ha visto muoversi attorno a Rotondella agenti della Cia e del Mossad molto preoccupati del turismo scientifico di paesi nemici. Nel gioco di spie non è mancato neanche il Sismi italiano che doveva coprire gli interessi nazionali.
Il magistrato ha registrato parziali riscontri dai verbali di Garelli. Quest’ultimo tra gli anni Ottanta e Novanta con la sua organizzazione ha operato tra Puglia, Basilicata e Campania. Pedina di una centrale operativa inglese a Gibilterra ha dimostrato di avere molti contatti internazionali con barbe finte. Il comando del M15 inglese lo ha dislocato per diversi anni nei pressi di Rotondella con il compito di monitorare i tecnici arabi invitati in Basilicata e i movimenti di materiali. E nel corso di uno di questi pedinamenti che Garelli resterà in panne nei pressi di Potenza. A distanza di vent’anni gli investigatori di Basentini ritroveranno la targa diplomatica in uno sfasciacarrozze del capoluogo alimentando la speranza di aver trovato l’indizio giusto. Il pm a questo punto si mette sulle tracce di Patrizia Volpin è nata a Sanremo nel 1954, residente a Servazzano in provincia di Padova, titolare di attività commerciali, giornalista free lance. Oggi vive in India. I detective di Basentini riescono a rintracciarla dall’altra parte dell’emisfero e grazie al telefono possono compilare almeno un’informativa. Patrizia Volpin alla Polizia giudiziaria lucana ha dichiarato di non aver nessuna intenzione di rientrare in Italia “in quanto gravemente ammalata e impaurita da possibili insidie legate alle inchieste condotte a suo tempo” e di non saper nulla dei rifiuti nucleari lucani. Ma la Volpin alla cornetta del suo telefono lascia due tracce. Due nomi. Quello di un tecnico informatico padovano “picchiato dai servizi segreti” e quello di un cittadino somalo molto influente nella comunità dei fuoriusciti in Italia. Basentini non si ferma e con i suoi uomini identifica l’informatico. Si chiama Carlo Alberto Sartor. E’ un tecnico con alte competenze, ha lavorato per grandi gruppi poi si è messo in proprio. Davanti al registratore quando capisce l’argomento esordisce affermando di essersi trovato “in una storia più grande di lui”. Uomini dei servizi lo hanno prima assoldato, poi minacciato. Sartor è giudicato da Basentini “persona attendibile e seria”. Un uomo scaricato e ancora oggi giustamente impaurito da quanto gli è capitato. Indizi. Che non sono prove.
Basentini ha anche rintracciato il somalo misterioso. Si chiama Mohammed Aden Sheikh, ex ministro della Salute,oppositore di Siad Barre. Oggi fa il medico e dirige il Centro piemontese di studi africani. Sa molte cose sui rifiuti italiani in Somalia e sul coinvolgimento di personaggi come Giancarlo Marocchino e del console onorario Scaglione. Ha anche detto al magistrato lucano che chi sa molte notizie è il generale Rasola Pescarini che con l’Aise ha preso il posto del Sismi in Somalia. Ma il medico somalo che fu ministro non sa nulla di Rotondella.
Una targa del Sahara spagnolo, l’agente con tre passaporti, la giornalista sulla carrozza a rotelle in India, l’informatico picchiato da agenti dei servizi italiani, il medico somalo, il generale stratega amico di Cossiga che scrive su Limes è quello che abbiamo dalle carte. L’inchiesta è chiusa. Forse per sempre.

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