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di MATTEO COSENZA
Caro Presidente, «la via per la soluzione della questione meridionale non è quella di un intervento dall’esterno o dall’alto, a mezzo di un ente speciale che, sotto la copertura di un’azione tecnica, aprirebbe la strada all’espansione di gruppi monopolistici anche stranieri. La via à un’altra: quella di permettere alle stesse popolazioni meridionali di operare il rinnovamento e il progresso economico di quelle regioni e promuovere lo sviluppo delle forze produttive rimuovendo, con una svolta della politica dello Stato italiano verso il Mezzogiorno e non solo con l’esecuzione di determinate opere pubbliche, le cause di carattere politico e sociale che hanno, dal 1862 in poi, determinato il formarsi di una questione meridionale». Queste parole, ovviamente, non sono mie bensì, come lei sa meglio di me, di un riformista ante litteram la cui modernità non cessa di stupire ogni qualvolta si vada a rivisitarlo. Le pronunciò il 20 giugno 1950 Giorgio Amendola nel suo intervento alla Camera sul disegno di legge che istituiva la Cassa per il Mezzogiorno. Qualche termine come “la questione meridionale (ahi noi!) è desueto, la Cassa per il Mezzogiorno non c’è più (e qualcuno la rimpiange), i gruppi stranieri – pochi – sono arrivati e nel frattempo sono anche scappati, ma sessant’anni dopo è impressionante l’attualità di quel discorso, intriso di «tensione morale e impegno sociale e politico assenti, oggi, nel dibattito sul Mezzogiorno». Amendola coglieva nella duplice responsabilità dei governi nazionali e delle classi dirigenti meridionali la causa dell’arretratezza del Mezzogiorno e profeticamente metteva in guardia dall’idea che le opere pubbliche potessero di per sé determinare i presupposti di una reale unificazione del paese. Oggi lei viene in Calabria subito dopo l’ennesima virulenta emergenza che prima davanti al Palazzo di Giustizia di Reggio e poi nel far west di Rosarno ha prodotto una ferita lancinante in un corpo già vistosamente sofferente. Sicuramente continuerà la sua opera o, meglio, la sua missione di spronare i calabresi, soprattutto i giovani, a non soccombere e a prendere nelle proprie mani il destino della loro terra. Girando per l’Italia, nonostante i gravosi e inediti impegni per impedire che vadano in frantumi i delicati equilibri istituzionali del paese, lei si aggrappa alle cose buone e all’esperienze positive, dovunque siano presenti, per alimentare la passione civile e l’impegno sociale, come fece nella sua precedente visita quando indicò nella cultura (Cosenza), nella legalità (Lamezia) e nella solidarietà (Reggio) la via del riscatto calabrese. L’augurio è che le sue parole non vengano ascoltate e subito dimenticate. È già successo come dimostra la necessità di questo ritorno. Lo Stato non c’è, ha detto un autorevole esponente politico nei giorni della rivolta di Rosarno. Un po’ ha torto perché queste parole suonano come un’offesa agli uomini che, anche a costo della propria vita, sono al suo servizio, ma un fondo di verità c’è in quella frase lapidaria se ancora interi territori, nonostante i colpi inferti alle cosche, sono capillarmente dominati dalla ‘ndrangheta. Gli annunci di questi giorni sono confortanti, arrivano rinforzi, si prevedono piani di guerra alla più “insidiosa” e potente delle mafie, un po’ troppo ottimisticamente si lascia intendere che sarà lanciato l’assalto finale, ma ben venga tutto questo e fa bene lei a precipitarsi qui per verificare con i protagonisti più significativi la qualità e la quantità delle iniziative adottate e chiedere certezze sul futuro per evitare che la Calabria non finisca nel libro dei ricordi salvo a riscoprirla in occasione di nuove tragedie. L’ordine pubblico e la sicurezza sono priorità assolute ma occorre anche altro. Serve un’attenzione più puntuale nelle politiche nazionali verso la Calabria e le regioni meridionali. Ma non basta neanche questo se poi le classi dirigenti locali non sono in grado di assecondare il rinnovamento e il progresso economico di cui parlava Amendola. Sicuramente sono necessarie nuove risorse, ma le tante che sono piovute su queste terre sono state in gran parte sprecate e sperperate. Esiste un esercito di dipendenti pubblici che avrebbe dovuto far funzionare le istituzioni come un orologio svizzero e invece non si sa a che cosa serva. Nella sanità scorrono fiumi di denaro senza che se ne vedano gli effetti sul servizio che invece risulta insufficiente, inefficiente e spesso insicuro. Dall’Europa arrivano provvidenze straordinarie, delle quali si è parlato in questi anni come di una manna dal cielo, ebbene pochi giorni fa un eurodeputato, ex assessore regionale, appena giunto a Strasburgo ha scoperto e denunciato che neanche un progetto calabrese dei Fondi 2008-2013 è partito. Se non c’è una svolta anche qui in Calabria, se non irrompono sulla scena nuove forze, fresche e sane, tutto sarà inutile e non cambierà nulla. Per questo, carissimo Presidente, attendiamo le sue parole con la fiducia che si deve a un capo dello Stato che incarna nella sua persona con tanta saggezza ed equilibrio l’unità del paese e che è portatore di un pensiero antico e moderno di cui tutti, soprattutto noi meridionali, abbiamo vitale bisogno. È decisivo ripartire rifuggendo da carezze o frustate ma piuttosto richiamando ognuno alla propria responsabilità per ritrovare lo spirito di una comunità che intende costruire un progetto di futuro per sé e per i propri figli.

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