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«Prima di parlare di voler sconfiggere la mafia bisogna cambiare i codici, bisogna creare un sistema di certezze, di automatismi, bisogna diminuire il potere discrezionale dei giudici. Bisogna fare tante cose se si vuole creare l’inversione di tendenza». A dirlo è stato il procuratore aggiunto di Reggio Calabria, Nicola Gratteri, in merito all’evasione del narcotrafficante Roberto Pannunzi (in foto), fuggito da una clinica romana dove era stato posto agli arresti domiciliari per problemi di salute. Gratteri è il magistrato che, occupandosi della ricerca di latitanti, ha coordinato le indagini che portarono, nell’aprile 2004, all’arresto in Spagna di Pannunzi, della cui evasione scrivono oggi anche la Stampa, il Quotidiano della Calabria e Calabria Ora.
«E’ il sistema giudiziario – ha aggiunto il magistrato – è il sistema detentivo, l’ordinamento penitenziario che consentono certe cose. Le indagini su Pannunzi si sono basate su intercettazioni ambientali e telefoniche e sul sequestro di cocaina per centinaia di chili. Nel momento in cui dimostro con la viva voce dei protagonisti che questi importavano tonnellate di cocaina in Europa, il sistema penale e processuale non deve consentire una condanna a 16 anni, ma a 30. E se il detenuto sta male si cura in carcere. Per questa tipologia di reati e di persone il ravvedimento è un’ipocrisia». «Pannunzi – ha detto Gratteri – è legato alla cosca Macrì di Siderno, ma in realtà era un broker al di sopra dei locali di ‘ndrangheta. Non era affiliato ad una famiglia, ma lavorava per più famiglie. Era uno dei grossi broker che la ‘ndrangheta ha in Colombia e in Sud America e comprava partite di cocaina per più famiglie. Era su un livello superiore e aveva rapporti con la mafia, con i capi mandamento siciliani. A Palermo era di casa». Il sospetto, adesso è che Pannunzi sia già volato all’estero dove, dice Gratteri, «gode di numerosissimi appoggi. Uomini come Pannunzi sono cittadini del mondo, gente che gira anche due o tre Stati nella stessa giornata. Fa parte di quella schiera di persone dove i soldi non si contano, si pesano».

Chi è Roberto Pannunzi

E’ conosciuto come il «principe del narcotraffico», Pannunzi, 64 anni, originario di Sidereo (Rc), broker del narcotraffico tra la Colombia e l’Italia, evaso da una clinica romana dove si trovava agli arresti domiciliari per problemi di salute. L’evasione ricalca quella compiuta nel 1999. Pannunzi, definito dagli investigatori «la più alta espressione del narcotraffico», stava scontando una condanna definitiva a 16 anni e mezzo di reclusione inflittagli a conclusione di un’inchiesta avviata dalla Procura di Perugia.
L’uomo aveva subito anche un’altra condanna, in primo grado, a 18 anni di reclusione comminata dal Tribunale di Reggio Calabria. Uguale l’imputazione: associazione per delinquere finalizzata al traffico internazionale di stupefacenti. Non è la prima volta che Pannunzi evade da una struttura sanitaria. Era già successo 11 anni fa. Anche in quel caso l’uomo approfittò della concessione degli arresti domiciliari in una clinica romana per fuggire. Era stato arrestato nel ’94 a Medellin, in Colombia, la terra dei suoi affari. Agli agenti che lo stavano ammanettando offrì un milione di dollari in contanti in cambio della libertà.
Dopo essere fuggito, il nome di Pannunzio finì nell’elenco dei 30 ricercati più pericolosi d’Italia dove rimase sino al 5 aprile del 2004 quando, al termine di lunghe indagini, fu individuato ed arrestato dagli uomini della squadra mobile di Reggio Calabria e dello Sco in un elegante quartiere di Madrid, insieme al figlio, Alessandro, anche lui latitante ed al genero, Francesco Antonio Bumbaca. Pannunzi è considerato il maggior narcotrafficante della ‘ndrangheta, interlocutore privilegiato dei produttori di cocaina colombiani, con contatti anche con la mafia siciliana e con personaggi di spicco di alcune famiglie riconducibili al boss Provenzano. Era capace, secondo quanto emerso dalle indagini, di esportare tonnellate di cocaina dalla Colombia all’Europa.

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