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di VITO TETI
Guardo senza rimpianti Olanda-Slovacchia. Non penso che al posto della Slovacchia avrebbe potuto esserci l’Italia. L’Italia si trova dove merita ed è bene non cercare adesso tardive autoassoluzioni o ingenue consolazioni. Noi italiani siamo sempre bravi a riscrivere la storia, a falsare il passato, a trovare giustificazioni. Ilvo Diamanti scrive su “La Repubblica” che la nazionale non rappresenta l’Italia, ma che se mai è la politica italiana a utilizzare la nazionale, a imbarcarla o scaricarla a seconda che vinca o perda. Penso, invece, che la nazionale da non tenere separata dal nostro campionato e dal nostro universo calcistico, racconti alla perfezione i tanti lati del carattere italiano, ma anche le disaffezioni e le distanze degli italiani dalla nazionale. Chi è più bravo a parlare male della politica e dei politici di noi italiani? Chi più di noi italiani, poi li assolve, li vota, li serve, li giustifica? Non siamo proprio noi, abitanti diversi di tante Italie, maestri nell’arte di salire sul carro del vincitore e per poi scendere al momento opportuno? Man mano che guardo Olanda-Slovacchia mi “sollevo” (ho un certo sollievo): non è una partita eccezionale, ma contro i tulipani avremmo fatto, di sicuro una magra figura. Meglio perdere con la giovane nazionale slovacca (che si presenta in tutta la sua modestia), almeno resta inalterato il ricordo di una bellissima partita ad un Europeo, quando battemmo l’Olanda ai rigori e Toldo parò l’impossibile. Per il gol non visto a favore dell’Inghilterra contro la Germania, qualcuno scomoda la storia, la vendetta, la nemesi con riferimento al gol-non gol dato agli inglesi nel 1966. La differenza è che quello resta un gol-non gol, questo è un gol evidente e non visto. Quello dato quando ancora non eravamo scesi sulla luna, questo nell’epoca in cui siamo sempre sotto l’occhio del grande fratello? Ho scritto che non credo alla possibilità delle vendette. Quello che è accaduto non cancella gli eventi precedenti. Se fosse possibile un qualche risarcimento, l’Olanda dovrebbe vincere almeno un mondiale. Ha perso due finali (Germania nel 1974 e Argentina nel 1978), praticando un calcio bellissimo e rivoluzionando, con grandi campioni, il modo di stare in campo e dietro la palla. Non ci rassegniamo ad uscire di scena. Vogliamo essere sempre presenti. Metterci sempre, come fa il nostro presidente del Consiglio, nella fotografia dei Grandi e con i Grandi, anche quando i Grandi ci sopportano con indulgenza. L’Italia ha perso senza attenuanti, ma qualcuno ricorda che abbiamo Capello, che potrebbe farci sentire l’odore del trionfo. Anche Capello (complici il caso e l’errore arbitrale) torna a casa e in Inghilterra quello che era stato un eroe, osannato per avere dato un’anima e un carattere alla squadra inglese, è diventato subito quell’“italiano” che non capisce nulla del calcio inglese. Un pregiudizio antitaliano serpeggia sempre in Europa: una band tedesca si augura che vincano tutti tranne l’Italia. Non sappiamo fare tesoro del razzismo degli altri per riconoscere il nostro. Non c’è più Capello: qualcun altro si entusiasma perché ci rappresenterebbe l’arbitro Rosetti, candidato ad arbitrare la finale, che non vede un evidentissimo fuorigioco in Argentina-Messico. Rosetti forse torna a casa, ma c’è chi suggerisce che “abbiamo” Maradona. Non vuole forse tornare a Napoli e non ha allietato i tanti campionati italiani? Ad adottarlo sono magari quelli che hanno fischiato l’inno nazionale argentino all’Olimpico, all’Italia Novanta. E non abbiamo anche i calciatori che giocano nelle squadre italiane a giocare nelle nazionali candidate al titolo (Olanda, Argentina, Brasile)? In tempo di penuria sono adottati come “italiani” o come “nostri” Julio Cesar, Melo, Juan, Maicon, Sneijder, Huntelaar, Burdisso Milito, Hamsik. Non è più vero che è causa dei tanti stranieri nel nostro campionato che non abbiamo più campioni italiani? Non basta. Non vi siete accorti che sta trionfando il gioco all’italiana (difesa solida e sicura, contropiede veloce, rapidità degli attaccanti a colpire al momento opportuno) adottato da Germania, Olanda, Brasile? Il guaio è che il gioco all’italiana non riusciamo più a praticarlo proprio noi (per assenza di campioni) e che un calcio che assomiglia, con molte varianti, al nostro tradizionale gioco “difensivo” è praticato da calciatori giovani e in squadre multietniche, che hanno saputo fare scelte coraggiose per coltivare i talenti e per conferire una nuova nazionalità a campioni “stranieri”. Siamo uno dei Paesi più incapaci di innovare, più razzisti e xenofobi, dove i figli degli immigrati, qui nati e cresciuti, sono destinati a restare stranieri. Invochiamo Ballotelli come salvatore della nostra nazionale: sarebbe bene non ripetere più nei nostri stadi gli insulti razzisti allo “sporco negro”. Ci attendono partite bellissime: Spagna-Portogallo, Germania-Argentina, Olanda-Brasile, Paraguay-Giappone. Non ci siamo. Meglio continuare a guardare sportivamente, rinunciando a essere tifosi se non sapremo diventare un paese per giovani e per nuovi italiani.

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