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di DOMENICO TALIA
Che regione è quella in cui la più grande manifestazione contro la ‘ndrangheta la deve proclamare un direttore di un giornale? Che regione è quella in cui il comizio più importante contro la ‘ndrangheta lo dove fare un procuratore della Repubblica circondato sul palco da guardie del corpo e con un elicottero sopra di lui in cielo, come un angelo custode? Un palco popolato da bambini, da un imprenditore onesto, e quindi sotto scorta, da due genitori che hanno perso il loro figlio morto su un campetto di calcio mentre cercava di colpire un pallone e invece è rimasto colpito da una pallottola, da un sindaco che ha detto no ai capibastone e può gridarlo a tutti a testa alta. Questa è la Calabria del 2010. Una regione in cui molte cose vanno male. Una regione in cui tanti, in tanti posti di comando, non fanno il loro dovere e non si fanno trovare al loro posto nei momenti importanti. Una regione in cui la classe dirigente presenta buchi, lacune, mancanze che diventano drammi, ritardi e problemi sociali. Una classe dirigente che non dirige e costringe altri a prendere in mano il destino della sua gente. Questa è anche una regione in cui tantissimi cercano di gridare la loro rabbia e il loro sdegno contro il malaffare e le ‘ndrine e quelli che dovrebbero stare alla testa degli onesti e delle vittime invece se ne stanno in disparte, quasi come un corpo estraneo, perché nei momenti delle decisioni erano distratti da altre cose. Così sono stati nel corteo molti esponenti della politica, protetti e un po’ nascosti da un fascio di gonfaloni di tantissimi comuni che hanno voluto aderire alla giornata del coraggio, tanti per senso civico, altri per fare ammuina. Nel corteo la gente ha potuto vedere qualche sindaco o qualche consigliere regionale o qualche deputato che tutti sanno essere scevri da collusioni o titubanze, ma insieme a questi c’era anche qualche personaggio a cui i voti della ‘ndrangheta sono serviti per raggiungere una calda poltrona o obbiettivi poco chiari. Erano lì, come qualche striscione lungimirante aveva fatto bene a segnalare, quasi sfrontati, simulando una sicurezza che non sarà comunque riuscita a convincere quelli che la Calabria la conoscono e la vivono. Erano certamente in pochi, ma avrebbero fatto bene a stare a casa. Non sempre i depistaggi funzionano, non facciano l’errore di credere che una passerella su corso Garibaldi insieme a tanta gente perbene abbia lavato loro la coscienza. La loro presenza non ha comunque sminuito l’importanza di quella manifestazione che è stata così grande e forte da sopportare anche questo senza mancare il suo obiettivo. Il cammino che è iniziato sabato a via De Nava e poi lungo tutto il corso Garibaldi, non è certamente finito a piazza Duomo. Sarà molto più lungo e difficile, avrà giorni tristi e anche giorni allegri come quello di sabato a Reggio Calabria. Chi c’era ha visto e sentito migliaia di calabresi, dai bambini agli ottantenni, che erano felici e liberi di manifestare contro la malattia più grave di cui soffre la Calabria, contro una ‘ndrangheta ricca che impasta insieme borghesia in giacca e cravatta e pastorizia arcaica, funzionari pubblici corrotti e politici corruttori, im(prenditori) da zona grigia e servizi deviati. Una poltiglia che sporca tutto, i nostri figli e i loro stessi figli, il nostro presente e il futuro, nostro e di tutti. La manifestazione di sabato, non ha cancellato la ‘ndrangheta dalla Calabria, ma ha avuto il grande merito di convincere molti che si può fare, che si può iniziare un cammino verso la normalità del vivere civile. Lì c’erano decine di migliaia di calabresi, tante organizzazioni di agricoltori, commercianti e industriali, lavoratori e sindacati, gente onesta di destra insieme a gente onesta di sinistra, cittadini che non hanno mai sfilato erano insieme a storiche associazioni antimafia. Tutti hanno detto chiaramente che non sono più disposti a stare in silenzio e si sono accorti di essere in tanti. Per queste ragioni quella manifestazione ha un valore fondativo che non si può più ignorare, quel lungo corteo ha espresso un bisogno civico di onestà e legalità che deve essere comune a tutti. Una necessità sociale di cui tutti dobbiamo essere capaci, evitando posizioni ambigue, stando dalla parte della Calabria, senza posizioni di comodo, senza la necessità di essere eroi e senza la viltà che spinge ad essere sudditi, senza essere professionisti dell’antimafia contro i professionisti della mafia, e ma agendo solo da semplici cittadini di una società civile.

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