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Partirà da lunedì prossimo, 18 ottobre, l’impiego dei militari dell’Esercito per la vigilanza degli uffici della Procura della Repubblica e della Procura generale di Reggio Calabria. A comunicarlo è la Prefettura di Reggio Calabria. L’iniziativa ha uno scopo preventivo e di controllo continuativo dopo l’intimidazione compiuta il 5 ottobre scorso con il ritrovamento di un bazooka davanti la sede della Procura della Repubblica in seguito ad una telefonata anonima al 113 in cui si rivolgevano minacce al Procuratore della Repubblica, Giuseppe Pignatone.
Nell’operazione saranno impiegati circa 80 militari appartenenti alla Brigata Aosta. L’impiego dei militari rientra nell’operazione «Strade sicure», che è già in atto su tutto il territorio nazionale. Nel corso di una riunione del Comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza pubblica, convocata dal prefetto Luigi Varratta per giovedì prossimo, 14 ottobre, sarà valutato se il presidio da parte dei militari, oltre che negli uffici della Procura della Repubblica e della Procura generale, debba essere esteso anche all’abitazione del pg Salvatore Di Landro, davanti al quale il 26 agosto scorso è stata fatta esplodere una bomba.

GRATTERI: “I militari non sono una soluzione”
«I militari sono una soluzione? No, assolutamente no, è sempre la politica del giorno dopo a cui purtroppo i governi degli ultimi venti anni ci hanno abituato». Così il procuratore antimafia di Reggio Calabria Nicola Gratteri (nella foto), intervenendo a Radio 24, ha invece criticato la decisione di mandare i militari a Reggio per rispondere alla criminalità organizzata.
«Bisognava prima coprire gli organici vuoti di migliaia di poliziotti, carabinieri e finanzieri – ha aggiunto Gratteri -. Prima va fatto l’ordinario, poi se necessaria l’eccezionalità. È anche una questione di costi. Se arrivano dei militari bisognerà provvedere alla logistica, all’aspetto amministrativo. Se invece trasferiamo stabilmente delle persone non dobbiamo pagare missioni o trasferte. Questi militari avranno bisogno di due mesi per imparare nomi e cognomi, il mese successivo inizieranno a lavorare e il mese dopo ancora saranno riassorbiti pian piano».
Gratteri si è detto anche contrario alla proposta di schierare l’esercito nei cantieri della Salerno-Reggio Calabria dove si susseguono attentati ai mezzi delle aziende: «Così si può limitare che salti un escavatore ma la tangente è discussa a monte, prima che si inizino i lavori – ha detto il procuratore -. Se salta una betoniera significa che sono saltati gli accordi, ma la verità è che non esiste un solo chilometro di autostrada in ristrutturazione in cui ogni locale di ‘ndrangheta non voglia la sua fetta. Dalle indagini in corso non c’è un solo chilometro esente da questo problema». Gratteri ha anche raffreddato l’entusiasmo sui trionfalismi nella lotta alla criminalità organizzata: «Da gennaio a oggi abbiamo arrestato mille ‘ndranghetisti e in questo momento ce ne sono liberi 10mila nella sola provincia di Reggio Calabria. Come si fa a dire che la ‘ndrangheta è in crisi?».
Infine Gratteri ha parlato della sua esperienza da calabrese, costretto nella vita a fare arrestare vecchi compagni di scuola: «Purtroppo erano ragazzi sfortunati, nati nella famiglia sbagliata. Io ho avuto la fortuna di nascere in una famiglia onesta, umile ma di grandi valori morali e mi sono salvato. Se fossi nato in una famiglia di ‘ndranghetisti oggi sarei sicuramente un capomafia. Essere della ‘ndrangheta non è una scelta, è una cultura, una religione, un credo. Ci si nutre di cultura mafiosa fin dalla nascita: quando un bambino di 4-5 anni vede i Carabinieri che gli sfondano la porta di casa per portare via il padre o lo zio trafficante di cocaina, il bambino identificherà lo Stato nello sbirro che gli porta via il padre».

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