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di DELIO DI BLASI*
A seguito della discussione apertasi nella Cgil dopo la firma dell’accordo separato di Mirafiori, l’area programmatica “la Cgil che vogliamo” ritiene necessario rivolgere un appello alla segreteria della Camera del Lavoro di Cosenza perché, senza tatticismi di sorta, si schieri con chiarezza e convinzione a sostegno delle posizioni espresse dalla Fiom, sia in merito ai contenuti dell’accordo separato, sia rispetto alla scelta di considerare illegittimo il referendum-ricatto imposto dalla Fiat, respingendo l’idea che sia possibile e utile apporre una firma tecnica in calce all’intesa allo scopo di poter avere una rappresentanza sindacale in azienda. L’obiettivo è far saltare l’accordo, riconquistare il contratto nazionale e il diritto dei lavoratori di poter scegliere da chi farsi rappresentare. Per contrastare i rischi insiti nella vertenza Fiat, occorre chiarezza e radicalità, la stessa messa in campo dalle controparti e dai sindacati “complici”. Nel corso degli anni, l’esperienza ha dimostrato come ciò che si definisce e si realizza nel mondo del lavoro (“oltre i cancelli della fabbrica” si diceva una volta), i rapporti di forza e le dinamiche relazionali che lì si determinano e si costruiscono, vengono prima o poi trasferiti nella società ed impongono i modelli, i valori e persino le norme giuridiche atte a regolare l’intero vivere civile. Per questa ragione, ciò che sta accadendo alla Fiat, come tante altre volte nella storia del nostro Paese, riguarda molto da vicino ognuno di noi ed è necessario comprendere e far comprendere come la battaglia per difendere i diritti degli operai di Mirafiori e Pomigliano, di Melfi e di Termini Imerese, sia indirizzata a difendere i diritti di tutti. Per questo, quella battaglia deve diventare, in tempi brevissimi, una lotta di portata generale. L’accordo di Pomigliano ( ma non ci avevano spiegato che rappresentava una tantum, utile solo ad accrescere la produttività e ridurre l’assenteismo in quello stabilimento?) e quello, più recente, di Mirafiori non servono a rilanciare la Fiat. Se fosse stato questo lo scopo principale, si sarebbe dovuto costruire un piano industriale con l’obiettivo di ristrutturare l’azienda, puntando sulla ricerca, l’innovazione di processo e di prodotto, sulla valorizzazione del lavoro, per produrre automobili di qualità come in Europa altri hanno scelto di fare, a partire dalla Wolkswagen. Quegli accordi, oltre che tesi a precostituire le condizioni di un drastico ridimensionamento della produzione Fiat in Italia, sono certamente parte di un progetto più ampio che mira a far saltare definitivamente il patto sociale ed il modello di relazioni industriali su cui si è fondato fino ad oggi il nostro Paese, allo scopo di riscrivere l’intero sistema dei rapporti sociali (non a caso, oggi, c’è chi evoca espressamente un processo di “marchionnizzazione dell’Italia”). In questo contesto si iscrivono le ripetute prese di posizione di alcuni ministri che nei mesi scorsi sono arrivati a proporre il superamento degli articoli 1 (l’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro) e 41 ( l’iniziativa economica privata finalizzata all’utilità sociale) della Costituzione, o che hanno definito la legge sulla sicurezza nei luoghi di lavoro “un lusso che non possiamo permetterci”. Oggi siamo all’affondo finale e non si può solo pensare di limitare il danno. Ciò che nel 2001 era stato teorizzato nel “Libro Bianco” di Biagi, Maroni e Sacconi (la frammentazione esasperata del lavoro, la derogabilità dei contratti, il passaggio progressivo dal contratto nazionale al contratto individuale, il licenziamento senza obbligo di reintegro, la mutazione della natura e del ruolo del sindacato, la riduzione dei diritti e il superamento del welfare universale), viene adesso concretamente realizzato attraverso accordi sindacali e provvedimenti legislativi. Gli accordi separati, il collegato al lavoro, le leggi Gelmini, le leggi di bilancio realizzano pienamente questi obiettivi. Peraltro, prima ancora che si aprisse la vertenza Fiat, la manovra economica aveva imposto ai lavoratori pubblici il blocco triennale della contrattazione e la mancata elezione delle Rsu. E’ di tutta evidenza che siamo ad un passaggio di fase difficile e delicatissimo, che richiede una opposizione consapevole ed efficace di tutte le Categorie ed un ruolo diverso della Cgil. Per questo pensiamo che occorra recuperare in fretta il ritardo accumulato ed aprire una discussione ampia, su basi nuove, senza rete e, come si sta chiedendo da più parti, avere il coraggio di avviare “un confronto di merito che superi la contrapposizione congressuale”, per adeguare l’intera organizzazione, a tutti i livelli, ad una stagione intensa e dura da affrontare consapevolmente e con ritrovata unità . Proprio la nostra Regione ed il nostro territorio rischiano di uscire da questa fase senza nessuna speranza di futuro. Bisogna mettere in campo con urgenza azioni che, nel nostro comprensorio, ci caratterizzino come punto di riferimento ed elemento unificante e visibile di tutte le lotte sociali. Si tratta, innanzitutto, di valorizzare strutturalmente il rapporto col movimento degli studenti (che, con la richiesta di proclamazione dello sciopero generale, ha voluto individuare nella Cgil l’unico interlocutore ancora credibile ed affidabile) sapendo cogliere tutti gli elementi di novità che lo stesso ha mostrato di saper rappresentare. Si deve avviare una campagna straordinaria d’informazione nei posti di lavoro e nel territorio, allo scopo di rappresentare con chiarezza alle lavoratrici ed ai lavoratori, ai precari (anche agli iscritti di Cisl e Uil), ai giovani, ai disoccupati la straordinaria gravità e la reale portata dello scontro in atto e si devono consolidare ed estendere le relazioni con le associazioni, i movimenti, le Istituzioni locali, le organizzazioni sociali sensibili alle ragioni del lavoro, alla valorizzazione dei beni comuni, alla gestione pubblica dei servizi. Infine, riteniamo si debba convocare subito un comitato direttivo, aperto all’apporto di contributi esterni, per ragionare di quelle che sembrano questioni essenziali che riguardano sia il campo dei diritti e delle tutele del lavoro, sia gli assetti economici, sociali e culturali del futuro, oltre che per definire e programmare l’articolazione delle nostre iniziative. Si tratta, insomma, di giocare fino in fondo il nostro ruolo in difesa dei diritti e della democrazia, sia attraverso la preparazione e la partecipazione attiva allo sciopero generale dei lavoratori metalmeccanici del 28 gennaio prossimo, sia indicando alla Cgil nazionale, proprio da un territorio difficile e marginale come il nostro, la necessità di rispondere agli attacchi con la determinazione dovuta, anche attraverso la proclamazione immediata dello sciopero generale. Se non ora, quando? * Il coordinatore area
programmatica “La Cgil che vogliamo”

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