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E’ iniziata con l’audizione di uno degli imputati l’udienza di oggi davanti al giudice Maria Rosaria Di Girolamo, chiamata a decidere se e chi mandare sotto processo delle persone coinvolte nell’inchiesta «Poseidone», avviata nel 2005 su presunti gravi illeciti che sarebbero stati commessi nel settore della depurazione in Calabria. Si tratta dell’ingegnere Giovanni Angotti, 77 anni, di Colosimi (Cs), uno dei componenti della commissione aggiudicatrice «per l’affidamento dell’appalto per la «concessione di costruzione e gestione dei lavori di realizzazione di un nuovo impianto di depurazione nel comune di Catanzaro, loc. Catanzaro Lido, e realizzazione di vari collettori fognari, dell’importo a base d’asta di euro 13. 326.653,36 + Iva, mediante licitazione privata». L’uomo, assistito dall’avvocato Aldo Casalinuovo, ha ottenuto di essere giudicato con rito abbreviato (il giudizio alternativo allo stato degli atti che in caso di condanna comporta lo sconto di pena di un terzo), già fissato per il prossimo 11 marzo, ma intanto ha chiesto di essere sentito in aula, dove oggi ha fornito la propria versione dei fatti rispetto a quanto contestatogli. Nell’impianto accusatorio della Procura la vicenda relativa al depuratore di Catanzaro Lido è una di quelle che confermerebbero il teorema che fa da sfondo all’inchiesta, che cioè gli imprenditori Santo Lico e Vincenzo Restuccia sarebbero stati ingiustamente favoriti nell’assegnazione di lavori nel settore della depurazione. Quanto al depuratore di Lido la pubblica accusa ha messo in piedi un’accusa di tentata turbata libertà degli incanti contestata ai due imprenditori, oltre che a Giuseppe Chiaravalloti, ex presidente della Giunta regionale della Calabria e legale rappresentante dell’Ufficio del commissario per l’emergenza ambientale; Claudio Decembrini, responsabile unico del procedimento, e poi Angotti, Giuseppe Mazzitello, Salvatore Russetti, Romano Agostini, Antonio Caliò, quali componenti della commissione aggiudicatrice per l’affidamento dell’appalto. Tutti, secondo le accuse, sarebbero stati avvinti da un «accordo collusivo» che li avrebbe portati a tentare di alterare la regolarità della gara, e ad influenzarne il risultato, garantendone l’aggiudicazione all’Ati Restuccia-Lico-Cer. In base al presunto accordo illecito, sempre stando alle accuse che già si leggevano nell’avviso di conclusione delle indagini, la commissione giudicatrice, nominata da Chiaravalloti, avrebbe omesso di escludere dalla gara l’Ati Restuccia-Lico-Cer, pur se questa «non aveva inserito nel relativo plico l’elaborato relativo al costo di gestione del nuovo impianto; nonostante si fosse discostata dalle prescrizioni del capitolato prestazionale di gara,; e sebbene la polizza fideiussoria prodotta fosse pari ad un importo garantito di euro 1.452.000, contrariamente a quanto previsto nel bando di gara». Tutte contestazioni che oggi Angotti ha respinto con decisione, insistendo nella correttezza del proprio operato, che a suo dire sarebbe stato perfettamente in linea con la normativa.

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