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di VALERIA GENNARO
HO sempre pensato che Oriana Fallaci avesse oltre ad un gene “p” (della polemica), sostanza del suo giornalismo avversariale, gli occhi dell’eroina greca Cassandra, e che sapesse vedere il futuro. Le parole della giornalista che ha segnato una traccia indelebile nel giornalismo moderno, in una intervista al colonnello Gheddafi pubblicata dal “Corriere della Sera” nel dicembre del 1979, sono più che mai attuali. Nella prima parte del colloquio, il “finto rivoluzionario” Gheddafi si soffermava sulla crisi degli ostaggi americani fatti prigionieri dagli iraniani nell’ambasciata Usa a Teheran, perché il leader libico si era offerto all’epoca per una mediazione. Mentre nella seconda parte della conversazione, Gheddafi enfatizzava la sua politica e rispondeva alle accuse di appoggio al terrorismo mosse dalla Fallaci. La giornalista è eccezionale nella prosa, scrive con il suo linguaggio brillante e colorito, assume un chiaro atteggiamento polemico, che sfocia in un aperto contrasto con l’intervistato. L’intervista segue con una serie di obiezioni, domande scomode e provocatorie di Oriana Fallaci, che schernisce il politico, dipinge un ritratto di un uomo “ridicolo, al limite dell’autoparodia, piccolo, stupido e narcisista satrapo mediorientale, dall’ego smisurato che crede di cambiare il mondo con il suo libro verde, un’accozzaglia di sciocchezze e banalità”. “Il fatto che l’Italia si faccia continuamente prendere in giro da questo cretino – affermava – concedendogli qualsiasi cosa, la dice lunga sulla pochezza dell’attuale classe politica” (Oriana definì Berlusconi e Prodi i due principali “sponsor” di Gheddafi). “Colonnello – domanda la Fallaci durante l’ intervista – ho l’impressione che il suo odio per l’America e per gli ebrei sia in realtà odio per l’Occidente. Si rende conto che di questo passo si torna indietro di mille anni, si ricomincia con Saladino e le Crociate?”. “Sì – risponde Gheddafi – e la colpa è vostra: dell’Occidente. Siete sempre voi che ci massacrate. Ieri come oggi. Fu la Libia a invadere l’Italia o fu l’Italia a invadere la Libia? Ci aggredite ora come allora, sostenendo Israele, opponendovi all’unità araba e alle nostre rivoluzioni, guardando in cagnesco l’Islam, dandoci dei fanatici. Abbiamo avuto fin troppa pazienza con voi”. La giornalista incalza con una serie di domande provocatorie: “Colonnello, ma come fa a essere così comprensivo coi terroristi, giudicarli fenomeno di una società da abbattere e poi mantenere ottimi rapporti con gli esponenti più rappresentativi di quella società?”, “Che ne fa di tutti quei soldi che guadagna col petrolio?”, “Cosa intende per rivoluzione?”. «La rivoluzione – afferma il leader libico – si ha quando le masse fanno la rivoluzione. E’ popolare perché ha l’appoggio delle masse e interpreta la volontà delle masse”. “Ma quello che avvenne in Libia nel settembre del 1969 – la Fallaci è tranchant – non fu mica una rivoluzione: fu un colpo di Stato. Sì o no?”. “Sì, però dopo divenne rivoluzione. I lavoratori hanno fatto la rivoluzione: occupando le fabbriche, diventando soci anziché salariati, eliminando l’amministrazione monarchica e formando i comitati popolari, insomma liberandosi da soli. E lo stesso hanno fatto gli studenti, sicché oggi in Libia conta il popolo e basta”. “Davvero? Allora perché ovunque posi gli occhi vedo soltanto il suo ritratto? Colonnello – chiude la Fallaci – visto che non si considera un dittatore, nemmeno un presidente, nemmeno un ministro, mi spieghi: ma lei che incarico ha?”. “Sono il leader della rivoluzione. Ah, come si vede che non ha letto il mio libro verde!”. “Sì che l’ho letto – ribatte la Fallaci – non ci vuole mica tanto. E’ così piccino. Il mio portacipria è più grande del suo libretto verde. E com’è giunto alla conclusione che la democrazia è un sistema dittatoriale, il Parlamento è un’impostura, le elezioni un imbroglio? Vi sono cose che non mi tornano in quel libriccino”. “Lei deve sistemarsi qui in Libia e studiare come funziona un Paese dove non c’è governo né Parlamento né rappresentanza né scioperi e tutto è Jamahiriya, cioè comando del popolo, congresso del popolo”. “E l’opposizione dov’è ?”. E il colonnello risponde: “Che c’entra l’opposizione? Che bisogno c’è dell’opposizione?

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