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di FRANCESCO BOCHICCHIO
L’ONU ha deciso, sulla base dell’impulso forte e rigoroso dell’Occidente, con l’astensione della Germania (oltre che della Russia e della Cina e di altri Paesi, tra cui i Paesi africani) di appoggiare i ribelli in Libia, altrimenti in via di soccombenza contro il regime sanguinario di Gheddafi, e di effettuare quindi interventi armati – a mezzo bombardamenti su obiettivi militari strategici – mirati e continui. L’Italia si è associata, forse controvoglia, a conferma di una politica estera del Governo Berlusconi tutt’altro che ferma e lineare. Certamente, conta l’impulso fornito da Inghilterra e Francia che hanno dato una spinta determinante, nel momento in cui Obama era impallato ed impossibilitato, viste le difficoltà interne – con l’opposizione repubblicana sempre più condizionante – ed estere (con l’America destinataria nell’area di un pesante clima ostile) ad essere solitario protagonista. L’aiuto e l’impulso di Francia e Inghilterra sono decisivi e già la Francia fa intendere che la supremazia dell’America sulla coalizione non è pacifica. Su tale intervento armato si può e si deve molto discutere. Il rischio di una ripresa della infausta tesi dell’esportazione della democrazia con le armi è troppo alto. Parimenti elevato è il rischio di strumentalità, vista la rilevanza del petrolio libico. Ma gli elementi in senso contrario non sono minori: l’area è ingovernabile e rischia in trasformarsi in una polveriera, con il rischio di espansione dei disordini. Gheddafi sta minacciando da tempo ritorsioni contro l’Occidente per il solo appoggio politico fornito ai ribelli ed una presa di posizione dell’Occidente stesso non è ingiustificata. Infine, un conflitto ormai non risolvibile con mezzi pacifici rende opportuno un intervento a difeso dei ribelli, che sembrano avere il supporto della popolazione e quindi si presentano ammantati di consenso democratico, ma hanno forze militari molto minori. Certamente, i profili di opportunità non sono minori di quelli nobili: e così l’esigenza di stabilire un buon rapporto con i rappresentanti del probabile nuovo regime ha avuto un ruolo decisivo; e parimenti il rischio di una caratterizzazione in senso islamico della rivolta impone all’Occidente di svolgere un ruolo attivo per evitare o comunque ridurre poi l’ostilità. Su tale punto la discussione è ampia, in quanto non vi sono elementi di certezza sulla caratterizzazione islamica della rivolta, ma la natura non islamica del regime di Gheddafi e la mancanza di altri elementi espliciti costituiscono un chiaro indizio nella direzione islamica, anche tenendo conto di altre rivolte nell’area tutte con gli stessi elementi. E qui il punto diventa nodale: il mondo islamico, pur apprezzandone certamente l’utilità, non mostra entusiasmo verso l’intervento occidentale e qui tale intervento si gioca la propria credibilità ed il proprio futuro una volta finito il conflitto armato. Il rischio di un fallimento del disegno dell’Occidente e di una spaccatura con il mondo islamico è formidabile, e la Francia ha capito lucidamente che vi è lo spazio per un proprio ruolo di primo piano, vista la minor diffidenza suscitata rispetto all’America. Ma il rischio di una polveriera esiste, e non è un caso che Gheddafi abbia fatto astutamente riferimento all’intervento occidentale quale quello di crociati: solo che la sua credibilità presso il mondo islamico è molto ma molto vicino allo zero, e quindi il riferimento diventa controproducente. In definitiva, la prudenza è necessaria, in quanto imposta dalla delicatezza della situazione: una valutazione complessiva depone nel senso che l’intervento dell’Occidente è non solo giusto ma anche opportuno. Ma il rischio di un capovolgimento dello stesso in un elemento scatenante di un conflitto addirittura globale con il mondo islamico non può essere sottovalutato. E’ quindi necessario che si tratti solo di un tassello tale da far rientrare in una politica complessiva coerente, rispondente ad un’ottica di vero accordo con il mondo islamico basata su due elementi fissi: da un lato una pace equa in Medio-Oriente, da imporre al riottoso alleato israeliano, e dall’altro il rispetto delle ragioni dei paesi esportatori del petrolio. Su entrambi i profili l’Europa può svolgere un ruolo importante, sia in relazione al primo per la storica maggiore attenzione fornita alla questione palestinese, sia in relazione al secondo dove un minor egoismo viene ad essere imposto dalla necessità di una politica mediterranea comune con i Paesi islamici. Le difficoltà dell’America limitano la libertà di manovra di Obama e di qui l’occasione irripetibile dell’Europa. D’altro canto, Obama ha la possibilità di affermare la propria “leadership” solo se coglie l’occasione fornita dalla situazione appena descritta per sganciarsi dalla componente interna più aggressiva in modo da cambiare del tutto la politica estera americana. Per concludere, non si può tacere che nella sinistra radicale italiana si è aperto un dibattito di grande interesse, con posizioni più articolate, che non trascurano l’estrema complessità della situazione. A fronte di posizioni più tradizionali, nel senso del pacifismo assoluto, di Valentino Parlato e di Gino Strada, vi sono posizioni problematiche, quale quella di Rossana Rossanda. Il pacifismo assoluto è nobile ma è disarmato, è una non-politica, efficace se opera quale tendenza ma illusoria se non scende a mediazioni: la novità assoluta della situazione fornisce uno spazio unico per una politica di sinistra effettiva e la novità non va persa. Anche la sinistra riformista dovrebbe svolgere un ruolo propositivo e attivo, senza limitarsi a prendere atto con soddisfazione -pur giustificata- della divisione all’interno della maggioranza e del Governo.

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