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di LUIGI M. LOMBARDI SATRIANI
L’uguaglianza di tutti i cittadini dinanzi alla legge, che rappresenta la garanzia minima su cui si fondano tutti gli altri principi di legalità; il difendersi dal pericolo di un disastro nucleare sempre ritenuto impossibile data una proclamata alta sicurezza delle centrali, puntualmente negata dalle catastrofi inaspettatamente sopraggiunte, come dimostra senza dubbio Fukushima; l’accesso all’acqua potabile, uno dei diritti fondamentali dell’umanità, che nessuna legge può limitare, come gli organismi internazionali hanno più volte ribadito, anche per il valore dell’acqua che è insieme realistico e simbolico, essenziale per la vita e per l’immaginario, come ho già avuto modo di sottolineare in questo giornale. Su tali questioni siamo chiamati a votare nei referendum di domenica e lunedì prossimi, che sono, dunque, estremamente importanti e attengono ai principi elementari che rendono possibile la democrazia. Altro che “referendum nati nel nulla”, come ha dichiarato con le sua consueta protervia il nostro ineffabile premier. Egli ha ordinato ai suoi di depoliticizzare tali appuntamenti, lasciando libertà di voto agli iscritti al Pdl e assicurando che i risultati di queste consultazioni saranno rispettate ma che esse non avranno in ogni caso alcune conseguenza sul Governo e sulla sua continuità di azione. Ma la correttezza istituzionale è totalmente contraddetta dalle iniziative dell’esecutivo e dalla maggioranza parlamentare. Prima si è elaborato l’imbroglio del rinvio della decisione per le centrali al solo scopo di bloccare il Referendum nella speranza che con soli gli altri tre quesiti difficilmente si sarebbe raggiunto il quorum necessario. Quando poi l’imbroglio è stato riconosciuto come tale, ecco pronto il ricorso alla Consulta in nome di un conflitto tra poteri: ogni mezzo è buono per evitare una temuta sconfitta politica che si aggiungerebbe a quella, inaspettata e clamorosa, delle elezioni amministrative. Si è trovata quindi la giustificazione della “tenaglia mediatica” di cui sarebbe vittima il presidente del Consiglio, che dispone di tre canali televisivi di proprietà familiare e che per il suo ruolo istituzionale controlla la quasi totalità delle reti pubbliche (è ancora vivo il ricordo dell’editto bulgaro). Per il capo del Governo sarebbe meglio se domenica prossima andassimo tutti al mare, realizzando così il desiderio che un altro presidente del Consiglio rivolse agli elettori alla vigilia del referendum del 9 giugno 1991: 27 milioni di italiani, il 62.6% dell’elettorato, respinsero la campagna astensionista. Riflettendo perciò sui contenuti dei quesiti referendari, andrà sottolineato che la privatizzazione dell’acqua, se permanesse nella sua normativa attuale, porterebbe ad un aumento del costo senza miglioramento del servizio, come ha riconosciuto il sindaco leghista di Varese, Attilio Fontana, e avrebbe effetti devastanti sulle famiglie più povere, impoverendole ancora di più. Si tratta dell’acqua, l’intoccabile bene di tutti per cui si è elevato il francescano Cantico delle creature: “Laudato si’, mi’ Signore, per sor Aqua, la quale è molto utile et humile et pretiosa et casta”. A favore dell’astensionismo pesano pigrizia, inconsapevolezza, indifferenza verso questioni pur essenziali, perché si arriva a pensare che “tanto i politici sono tutti uguali”. Per l’impegno ad andare a votare e contro l’astensionismo milita, insieme all’importanza delle questioni di merito, la consapevolezza che i diritti occorre esercitarli, perché non si attenuino sino alla scomparsa di fatto. Le amministrative hanno mostrato che si può sconfiggere la Rassegnazione a uno stato di fatto ritenuto immodificabile, a una maniera di fare politica attenta solo agli accordi di vertice, ai tatticismi, riserva esclusiva degli addetti ai lavori, tecnici insindacabili il cui giudizio si assume superiore rispetto a quello dei comuni cittadini. Invece nuovi soggetti sociali e politici sono emersi: uomini e donne, persone che riprendono la titolarità dei propri diritti, non più disponibili a delegarli passivamente. Non è in crisi il concetto di rappresentanza, indispensabile in una società complessa, ma come la rappresentanza è stata intesa ed esercitata sinora, scavando di fatto una separazione sempre più netta tra istituzioni e Paese reale. Questi referendum, contrariamente a quanto è stato ordinato dovesse essere detto, sono politici. Anzitutto per i risultati sociali delle norme di cui si richiede l’abrogazione. Poi anche per il giudizio politico che oggettivamente daranno nei confronti del Governo del (mal) fare, per l’avvertimento che possono dare a tutti i partiti, compresi quelli del centrosinistra, che possono e devono dare sempre più spazio a una cittadinanza vissuta concretamente come impegno, dopo tanto disinteresse, tanta pur comprensibile delusione, a tutti noi, quale che sia la collocazione individuale nei segmenti istituzionali, che costituiamo comunque la società civile. Perché sia possibile la speranza in un’altra qualità della politica: più accettabile, più vivibile. I potenti al tramonto si assomigliano. Non hanno più il polso del Paese reale, circondati da yesmen, sempre più abbarbicati al potere che in cuor loro sanno già di aver cominciato a perdere, sempre più irretiti nei propri monologhi. Così è stato per tanti ex potenti, il cui declino è caratterizzato da solitudine. Giuliano Ferrara ha scritto domenica scorsa: «Berlusconi è significativamente indebolito, sta prendendo tratti di immobilismo impressionanti, è come risucchiato da una logica conservatrice che lo isola e lo induce a un monologo ripetitivo» (Il Giornale, 5 giugno 2011). Solitudine e delirio di onnipotenza. Non hanno più dinanzi un nemico comunque costruito, ma un popolo che loro stessi erano abituati a evocare come legittimazione del proprio potere, quando era osannante alle loro figure quasi sacralizzate, salvo a insultarlo se si fosse permesso di votare in maniera diversa dal loro autocratico desiderio. La storia e la drammaturgia (si pensi a Pirandello) hanno più volte rappresentato monarchi impazziti o fintamente tali. Erano figure dense comunque di regale grandezza; la fase attuale di Berlusconi appare, invece, abissalmente lontana da ciò.

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