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di GIOVANNI POTENTE
Il libro di Giorgio Bocca Aspra Calabria e la prefazione di Eugenio Scalfari, che in questi giorni alimentano l’annoso dibattito sulla Calabria, inducono le seguenti considerazioni.
1) La peculiarità delle emergenze calabresi – disoccupazione, criminalità ecc.- non deve far dimenticare che la nostra regione è incardinata in un contesto sovranazionale, e condivide condizioni di fondo con altre realtà locali o nazionali. Le nostre vite dipendono in larga misura da fattori precipui e strutturali del moderno capitalismo “globalizzato”, che aggravano i problemi locali e spesso ne costituiscono la premessa. Il più determinante di tali fattori è quello meno noto e su cui meno si concentra l’attenzione degli analisti: il fatto che le maggiori Banche Centrali (dalla Federal Reserve alla Banca d’Italia) non sono, come molti erroneamente credono, “banche di Stato”, ma cartelli di banche private. Nel corso di un processo storico iniziato con la fondazione della Bank of England (1694), a questi consorzi privati è stata trasferita quella che era la prerogativa essenziale dei vecchi Stati nazionali: il potere sovrano di emettere denaro (e prestarlo). È il fenomeno più importante e rivoluzionario dell’era Moderna. Grazie ad esso, oggi questi cartelli privati accumulano profitti immensi, fuori controllo ed esentasse: prima tramite il signoraggio, poi con gli interessi sui prestiti agli Stati e alle altre banche. Il signoraggio è il profitto dato dalla differenza tra il costo di produzione del denaro (carta, stampa ecc.) e il valore nominale delle banconote. Una banconota da 500 euro, costata pochi centesimi, assume appunto valore di . 500 euro, e lo assume per convenzione. Da quando è stata abolita la convertibilità del denaro in oro, le Banche Centrali possono emettere denaro praticamente all’infinito, senza dover disporre di corrispondenti riserve auree. E solo il 10% dei soldi è in banconote o monete, il resto è virtuale: cifre in archivi informatici, prive di costo di produzione. Così la Banca d’Italia (i cui soci principali sono Intesa Sanpaolo e Capitalia) presta allo Stato italiano denaro virtuale, creato dal nulla premendo un tasto su un pc. Certo, in cambio ne ottiene titoli di Stato (bot e cct) altrettanto virtuali (ovviamente per un valore superiore al prestito). Ma allo Stato restano poi due modi di pagare gli interessi. O richiede nuovi prestiti, il che aumenta ulteriormente il debito pubblico. Oppure privatizza il proprio patrimonio, come un qualunque cittadino insolvente che deve cedere concreti beni immobili (casa, automobile). È un circolo vizioso. Nemmeno la più drastica “manovra finanziaria” (come l’ultima presentata dal Governo) può sanarlo. Del resto, ancora prima di alienare beni demaniali, lo Stato italiano già ora in cambio di denaro virtuale cede qualcosa di ben concreto: la qualità della nostra vita. Lo fa imponendoci sacrifici reali dal costo sociale elevatissimo: blocco di stipendi e assunzioni nella Pubblica Amministrazione, riduzione dei servizi, dissoluzione di Scuola, Università e Sanità pubblica. Gli Stati insomma sono ostaggi di cartelli privati. Per “risarcire” le Banche Centrali un cittadino americano o europeo è costretto a lavorare in media 4 mesi l’anno, pagando tasse che non diventeranno mai “servizi”. È la più letale forma di “guerra di classe” mai predisposta dall’èlite dominante. E la più subdola, perché inavvertita, di rado trattata dai media.
2) Nessuna diagnosi della realtà calabrese è completa, attendibile ed onesta se non premette tutto questo e non ne tiene conto. Perciò trovo l’intervento di Scalfari sconcertante. Non comprendo come ancora possa interrogarsi assieme a Bocca, senza rinvenire risposte, sul persistere del «male oscuro» calabrese e sul «mistero doloroso» del mancato sviluppo della nostra regione. Le risposte ci sono. Il nostro “male oscuro” dipende anche dal contesto generale, dal fatto che, come tutti in Europa, siamo schiavi delle Banche Centrali. Il «mistero doloroso» è dovuto pure al fatto che il colonialismo finanziario di cui i calabresi sono vittime (come gli europei e gli americani) si riprende con gli interessi i finanziamenti “a pioggia” comunitari. Con l’aggravante che la dissoluzione dello Stato sociale, in una realtà come la nostra più fragile delle altre, esaspera i problemi fino a renderli insolubili. Scalfari è un maestro. In carriera si è battuto per i diritti civili, contro molti potentati e poi contro la “deriva berlusconiana”. Ancora di recente ha lucidamente denunciato il fatto che a pagare lo scotto della “manovra” del Governo saranno i ceti deboli. D’altra parte si è pure sempre erto a tutore dei veri “padroni del vapore”: i signori di Bankitalia. Fino a pochi giorni fa li ha difesi dalle ingerenze politiche, garantendo che dall’Istituto provengono sempre «orientamenti utili alle parti sociali, agli operatori e al mercato” (Non va bene un proconsole in Bankitalia, la Repubblica, martedì 28 giugno 2011, p. 31). Affermare ciò, e indurre i propri lettori a crederlo, è fuorviante. Bankitalia fa solo i propri interessi, che configgono con il “bene pubblico”. Negarlo, ometterlo ed edulcorare la realtà significa fare il gioco dell’oligarchia dominante, accodarsi alla pletora di politici, tecnici e burocrati (qualcuno risarcito con il posto di Presidente della BCE) che assicura il funzionamento del sistema, tra cui i tanti scribacchini che lo nascondono all’opinione pubblica. Non so se Scalfari sia consapevole di tale sua contraddizione (etica prima che intellettuale). So che per la verità non è mai tardi. So che la verità e la chiarezza redimono -«sia il vostro parlare “sì, sì, no, no”; ciò che è di più viene dal Maligno» (Mt, 5, 37)-. Se Scalfari e chiunque altro vogliono davvero aiutarci dicano, se sanno, come stanno davvero le cose, ci supportino nel denunciare l’inganno di cui siamo vittime. Altrimenti faranno come quelli, tra cui molti nuovi “professionisti dell’antimafia”, che continuano a mostrarci il dito anziché la luna.

Giovanni Potente Laboratorio di Italiano Scritto Unical

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