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La sua voce, quella di Maria Concetta Cacciola, in una registrazione audio che potrebbe chiarire molti aspetti finora rimasti oscuri della vicenda legata al suicidio di Maria Concetta Cacciola, la donna di 31 anni che si è tolta la vita sabato scorso a Rosarno, dopo aver scelto tre mesi prima di collaborare con la giustizia.

Anche se i genitori, Michele Cacciola e la moglie Anna Rosalba Lazzaro, quella registrazione intendono utilizzarla nella battaglia che ieri hanno avviato contro magistrati e carabinieri, colpevoli secondo quanto sostengono nel loro esposto-denuncia inviato ieri alla Procura della Repubblica di Palmi, di aver «strumentalizzato» la ragazza, facendo leva sulle sue «debolezze psicologiche» e sulla sua voglia di liberarsi da un ambiente familiare troppo geloso e oppressivo, per convincerla ad allontanarsi dalla famiglia e prendersi la sua “vendetta” per i torti subiti e per una relazione extra coniugale avversata, trasformandosi in una testimone-chiave contro i suoi stessi congiunti e contro lo zio Gregorio Bellocco, boss dell’omonimo clan.

A suffragio della sua tesi, la famiglia Cacciola ha messo a disposizione dell’Autorità Giudiziaria, la bobina e la trascrizione di una registrazione audio cui la ragazza, una settimana prima di togliersi la vita, ha affidato i suoi pensieri, raccontando i particolari di quella scelta di rivelare alla giustizia fatti e misfatti dei suoi stessi parenti.

La registrazione è datata 12 agosto, due giorni dopo cioè il rientro di Maria Concetta a Rosarno, nella casa dei genitori dove erano rimasti i suoi tre figli, la stessa che una settimana dopo l’ha vista rintanarsi in bagno per porre fine ad un’esistenza sofferta e forse ormai insopportabile. «Voglio raccontare quello che mi è successo a maggio scorso – queste le parole incise sul nastro dalla collaboratrice di giustizia – quando in occasione di una convocazione in caserma per mio figlio, vedendo i carabinieri, ho pensato, cercavo di aggrapparmi ad una mia liberazione, avevo dei problemi in famiglia, erano arrivate delle lettere anonime, non ero capita, gelosia, mio marito in carcere, i miei mi alzavano le mani, mi chiudevano in casa, non potevo uscire, non potevo avere amicizie [.] volevo fargliela pagare [.] ho parlato con i carabinieri dicendo se mi possono dare una mano, che ho problemi con mio padre Michele e mio fratello Giuseppe [.], non mi facevano uscire [.] gli ho detto delle cose per andare via di casa».

Nella registrazione, la donna afferma di aver parlato in seguito con due magistrati. «Mi hanno portata a Cosenza [.] poi sono venuti di nuovo i magistrati – ha dettato ancora al registratore la donna – facendo pressione su delle cose, delle famiglie. Io ero preso di rabbia e mettevo sempre mio padre e mio fratello in tutto, perché volevo fargliela pagare». I rifugi della donna, dunque, da Cosenza a Bolzano fino a Genova.

Un percorso a tappe che la stessa donna ha ricostruito nella registrazione audio che da ieri è sul tavolo della Procura di Palmi. Dopo qualche settimana, Maria Concetta, dice che voleva già tornare indietro «perché mi rendevo conto di quello che stavo combinando – ha scandito ancora al registratore – a Bolzano ho detto che voglio un avvocato ma mi hanno detto che per la legge un testimone non può avere un avvocato, volevo tornare indietro, ma loro mi dicevano, renditi conto, ci sono i tuoi, la tua famiglia, il tuo paese non accetta quello che hai fatto, se prima ti volevano fare fuori perché supponevano una relazione, pensa adesso quello che ti succede».

“Pressata” dai giudici e “terrorizzata” da un errore dal quale pensava di non poter tornare indietro, questo il quadro psicologico che sembrerebbe emergere dal file audio e che, a giudizio della famiglia, è sufficiente ad avviare un’azione legale finalizzata, nelle loro intenzioni, «a fare luce sui comportamenti diretti e indiretti, passibili di rilevanza penale, che hanno indotto Maria Concetta a compiere un’azione di autolesionismo tanto estremo quanto violento». La denuncia contro ignoti è stata presentata dai legali della famiglia, gli avvocati Vittorio Pisani e Gregorio Cacciola, per conto dei genitori della donna, Michele Cacciola e Anna Rosalba Lazzaro, i quali, come detto, ipotizzano che la figlia sia stata indotta a collaborare approfittando di un suo momento di debolezza.

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