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di Lucia Serino
HA una capacità di mediazione pari al tacco che porta. Si capisce perché fosse nelle grazie di Mastella (e non è per nulla un’offesa) perché solo una apparentemente svampita come l’assessore Rosa Mastrosimone (in foto)riesce a trovare un compromesso tra le bizze di un Benedetto e la permalosità di De Filippo che a lei si appella per tenere a bada gli alleati. «Parla per lui, a titolo personale»,…
rassicura spesso lei senza scomporsi, avendone viste parecchie, e trova pubbliche giustificazioni alle sortite e alle assenze del senatore Belisario, ben sapendo che nessuno le crede, ma lei sa che è importante innanzitutto rassicurare, non creare distanze, anzi accorciarle, tenendo i fili di ciò che le viene chiesto (dalla Giunta alle firme per Di Pietro) perché in fondo, per dirla con Paolo Sorrentino, hanno tutti ragione. La Mastrosimone è il massimo di charme che la politica lucana si possa concedere. La considerazione non è per una nulla una villania, è anzi una considerazione molto positiva nella riflessione sulle differenze tra gli orpelli spesso inutili e le arroganti distanze di cui si nutre molta politica extraregionale, anche vicina, e quella che si vive quotidianamente in Basilicata.
Se i leghisti riempiono ancora le sponde dei fiumi per salde appartenenze ci vuole poi la festa di un giornale come il Fatto a radunare gente o la nuova suggestione di un De Magistris per strappa applausi trasversali mentre entra in giacca blu in un San Carlo (il teatro, non l’ospedale) dove si richiedeva l’abito nero. Ma qui siamo nelle nuove convergenze intese come amore a prima vista tra una città e il suo sindaco, altro è quella “convergenza dialettica” (ipse dixit) con la quale in maniera molto improbabile Folino rappresenta il suo rapporto con De Filippo. Che cosa colpisce, invece della politica lucana, osservandola al top sul palco di una festa di partito come quella organizzata da Autilio sabato scorso a Marsico nuovo? Colpisce la piazza piena intenta ad ascoltare, senza distrarsi, con partecipazione. Chè di epocale, diciamo la verità, nessuno aveva da dire, a parte le astuzie verbali dei più navigati. Ma tra il pubblico c’era chi azzittiva bambini rumorosi per non perdersi una parola e chi si contendeva le sedie per meglio e più comodamente ascoltare. Solo un sabato sera? In verità qualche chilometro più avanti, a Tito, alla festa del Pd c’era altrettanta folla.
La Basilicata, questa è la verità, è una delle poche regioni in cui regge ancora il verbo della politica, talmente essa è invasiva, per vederne l’aspetto deteriore, ma al pari abituata a calzare sandali rasoterra, per elogiarne le qualità, così lontana da quella minuzzaglia sfavillante che ridicolizza l’ultimo e più scemo dei consiglieri comunali dei comuni vicini. Quando arrivai a Cosenza mi colpì un video girato da alcuni studenti dell’Università della Calabria che si intitolava “Voglio vivere a Salerno”. L’altro giorno leggo che Mario Guarente vorrebbe che Potenza diventasse la Salerno della Basilicata. Salerno oggi è una città per ricchi, bastarda perché ormai sono pochissime le famiglie storiche, bella per virtù di madre natura, indifferente, come tutti i belli, ai veri problemi della crescita urbana, contraddittoria nelle esternazioni del suo sindaco ad esempio su destinazione urbanistica, inceneritore, alleanze.
Salerno non deve essere un modello, Potenza e la Basilicata devono saper governare la loro diversità, farne anzi un punto di forza, convincersi che essere pochi è il privilegio da cui partire. Avendo presente che quella piazza che ascolta e che dunque legittima ancora la politica per ciò stesso merita enorme rispetto. Dicono che Folino, nella decisione di puntare anche su un nuovo look, si sia rivolto a un sarto napoletano. Per favore no. Lasciamo alla Mastrosimone il tacco 12. Ma solo a lei.

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