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di GERARDO TRAVAGLIO*

EGREGIO consigliere Dalessandro, non ho il piacere di conoscerla, pur essendo un iscritto al Partito democratico e presidente del Consiglio comunale di Latronico. Le premetto che sono un funzionario dell’Ente Parco nazionale del Pollino dove presto la mia attività sin dal luglio 1996. Ho avuto modo di leggere la sua lettera al giornalista Di Consoli sull’episodio che lunedì scorso ha visto involontario e malcapitato protagonista un mio collega. Ho conosciuto Andrea Di Consoli a Latronico in occasione di un evento cui lui partecipava in qualità di moderatore ed avendolo apprezzato per le sue qualità professionali e per sapere che è di Rotonda, paese nel quale a motivo del mio lavoro passo la maggior parte del mio tempo, con lui ho scambiato, a fine serata, alcune battute. Abbiamo parlato dei danni provocati dai cinghiali e nel mio piccolo e sulla base delle conoscenze che ho del problema, ho riconosciuto la portata della questione, veramente al limite della sostenibilità, e anche la sua estensione, purtroppo ben oltre il perimetro del Parco del Pollino. Ricordavo a me stesso, in quella occasione, delle immagini trasmesse qualche tempo addietro da un telegiornale nazionale, che riprendevano, mi pare nella città di Genova, i cinghiali nel centro cittadino mentre rovistavano nei cassonetti della spazzatura. Rappresentavo, altresì, quello che il mio Ente aveva fatto in merito e le difficoltà incontrate nel far approvare il piano di abbattimenti, per i limiti imposti da una legislazione in materia (dello Stato e dell’Unione europea) molto severa ed attenta al rispetto di tutti gli interessi in gioco (di tipo sanitario, per l’incolumità di quanti percorrono il territorio del parco – pensi alla pericolosità rappresentata dai fucili usati, tipo carabina, per l’abbattimento – per l’organizzazione degli appostamenti – che vedono necessariamente l’apporto del Corpo forestale dello Stato ecc.). E’ inutile dirle che rispetto al 2010, per quest’anno l’ente ha raddoppiato il numero di selecontrollori (persone abilitate, per norma, ad abbattere i cinghiali) e che, annualmente, spende cifre considerevoli per indennizzare i danni provocati alle colture. Sicuramente molto altro dovrà fare, date le dimensioni del problema. Questi sono i fatti che probabilmente poco interessano quando si parte dal presupposto di delegittimare chi con il proprio lavoro deve districarsi tra mille difficoltà ed operare nella valutazione (alcune volte nello scontro) di interessi contrapposti, ciascuno dei quali comprensibile e degno di attenzione. Deve però tenere presente che i dipendenti dell’Ente, sui quali sono state scaricate responsabilità non loro, da oggi sono costretti a lavorare in un clima di insicurezza, paura e, quel che è peggio, a mio avviso, di delegittimazione: l’aggressione subita dal mio collega, persona, mi creda, sempre disponibile e non fumatore, nasce anche dal clima di disinformazione sul tema dei cinghiali che viene spesso affrontato in modo superficiale e senza la piena conoscenza delle questioni, cui io prima facevo cenno. Quello che mi preme sottolineare a lei, che ha sentito il bisogno di esprimere vicinanza e solidarietà ad Andrea Di Consoli, è che i dipendenti dell’ente non solo ritengono di svolgere il proprio lavoro al meglio e con la professionalità che si impone a chi si mette al servizio dello stato ma non hanno nulla di cui vergognarsi perché, fatti salvi errori e omissioni che sempre possono annidarsi lungo il percorso a volte difficile dei procedimenti amministrativi che svolgono e delle leggi che sono chiamati ad applicare, sono padri e madri che con il loro lavoro consentono alle proprie famiglie di vivere (sopravvivere – anche loro), in questa terra che amano, tanto da esserci rimasti (alcuni per scelta, altri per necessità, altri ancora per l’opportunità che hanno ricevuto. Pensi che alcuni hanno scelto di venirci, attratti da un lavoro nel parco nazionale più grande d’Italia) e che, come cittadini, spesso si imbattono, come tutti, in situazioni di burocrazia che magari non condividono e alle quali reagiscono con i mezzi che lo Stato di diritto mette loro a disposizione, senza essere in possesso di un palcoscenico privilegiato quale può essere quello dei mezzi di comunicazione di massa. Io credo che ciò che spesso si definisce burocrazia non è altro che un insieme di regole che governano determinati fatti e comportamenti. Quando ci si accinge a scrivere un romanzo, una poesia, sono fondamentali lo studio, le doti innate che si posseggono e magari la fantasia e la creatività. Credo al contempo che debbano seguirsi le regole della grammatica e della sintassi. Ecco: le regole; quelle che i dipendenti pubblici devono rispettare. Capisco che ci sono situazioni nelle quali uno fa fatica a comprendere quello che accade eppure se ne fa una ragione. Penso, per esempio, fatte le dovute differenze, ad un esproprio per fini di pubblica utilità, magari per costruire una strada o una scuola (probabilmente le sarà capitato nella sua attività di sindaco). Si sarà sentito chiedere: perché nel mio terreno? Si sarà sentito dire che in quel pezzo di terra c’era tutta la propria vita, un legame inscindibile con i propri avi dai quali si tramandava la proprietà. Se non è capitato a lei è capitato a tanti altri sindaci ed amministratori che hanno, per le responsabilità assunte, dovuto operare una scelta e sacrificare l’interesse di qualcuno. Ho fatto mente locale, dopo aver letto la sua lettera e quella accorata di Andrea Di Consoli al direttore del Quotidiano e ho constatato che la totalità dei dipendenti dell’Ente Parco, guarda caso, viene da famiglie di contadini, casalinghe, operai, impiegati alcune delle quali (anche loro) costrette a emigrare e a sacrificarsi affinché i propri figli potessero studiare ed essere più preparati ad affrontare le traversie della vita e, magari, a sostenerle nel momento in cui ne avessero bisogno, forse a causa delle loro umili origini o per il basso livello di istruzione o, ancora, per mille altri motivi. Quello che voglio dire è che abbiamo il dovere verso i nostri genitori, anche quando loro possono fare fatica ad accettare qualcosa, di mettere a frutto ciò che abbiamo imparato e non perché si difendano da burocrati che parlano in italiano (anche perché essendo del luogo, le posso garantire che con la gente del posto, spesso usiamo il dialetto) ma perché possano rispettare le (a volte per loro incomprensibili) leggi dello stato. Per chiudere voglio mandare un pensiero affettuoso a Piero per i bruttissimi momenti vissuti e uno al signore Di Consoli che credo abbia compreso di aver commesso uno sbaglio enorme che poteva avere conseguenze drammatiche. Fortunatamente tutto si è risolto per il meglio e questa, al di là delle conseguenze che ne deriveranno e che non tocca a noi prevedere, né auspicare, sarà solo un’altra brutta storia da cui dover imparare.
*Presidente del Consiglio comunale di Latronico

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