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di MASSIMO COVELLO*
Caro direttore, il convegno svoltosi a Longobucco e l’articolo apparso nei giorni scorsi sul suo giornale, sempre a cura del vicepresidente della Provincia Mimmo Bevacqua, hanno avuto il merito di rilanciare una grande e da troppo tempo irrisolta questione: quale ruolo deve assolvere la forestazione in Calabria? E’ condivisibile per molti aspetti l’approccio di Bevacqua, perché sovverte, anche in maniera autocritica in riferimento al ruolo importante che lui ricopre nelle istituzioni e soprattutto nel suo partito, una tendenza dominante nel pensiero politico regionale, tesa a porre la questione più dal lato dei contenitori che dei contenuti. A riprova di ciò sta tutto l’impegno bipartisan che dal 2007 ad oggi ha visto le varie giunte regionali succedutesi ricercare spasmodicamente come “riformare” la gestione del settore partendo da una premessa assurda e inaccettabile: «I lavoratori idraulici-forestali sono un bacino ad esaurimento». Il combinato disposto di questo pronunciamento con il blocco del turnover tuttora perdurante per effetto della L. 442, ha prodotto e continua a produrre un ridimensionamento strutturale e progressivo le cui conseguenze, anche sul piano sociale, nella montagna e nelle comunità delle zone rurali sono sotto gli occhi di tutti. E’ certamente tempo, pur dentro una crisi generale strutturale, approfittare di essa per ripensare radicalmente un modello di sviluppo che ha ridotto la Calabria ad un cumulo di macerie, ambientali, economiche, sociali. Uno dei pilastri su cui puntare, per la rinascita della nostra regione, così come negli anni ’60 e ’70 è proprio la valorizzazione del patrimonio forestale , sia in funzione protettiva che produttiva. Si può ragionevolmente pensare alla programmazione di un nuovo piano per il lavoro che potrebbe coinvolgere, immediatamente almeno 4.000 nuovi addetti. Ho usato il termine generico addetti e non quello specifico idraulico-forestale, perchè oggi sono possibili, anzi servono, nuove e variegate professionalità per allargare la gamma delle funzioni, rivedendo nel concreto, profili professionali, competenze, qualità operative, strategie di intervento legate alla complessità delle funzioni possibili. Un piano per il lavoro che si muova nell’ambito della manutenzione e cura dei boschi, della difesa del suolo, della pulizia e gestione delle aste fluviali, dei bacini idrografici, della prevenzione degli incendi, della rinaturalizzazione delle aree, della valorizzazione integrata delle aree naturali e dei Parchi, solo per fare alcuni esempi. Allo stesso modo serve un programma strutturale di rimboschimento e di selvicoltura intensiva che recuperi le aree devastate dagli incendi, che riqualifichi in diversi ambiti il patrimonio forestale esistente, puntando in primo luogo al reimpianto di alberi da frutto, nonché alla valorizzazione delle potenzialità di produzione legnosa e boschiva. Serve rilanciare il sistema vivaistico pubblico da anni in costante depauperamento, nonché strutturare un programma di politiche a sostegno dell’approvvigionamento, industrializzazione e trasformazione del settore del legno, rendendo certi e certificati i percorsi del mercato del legno anche a fini energetici, come la recente vicenda della centrale Marcegaglia di Cutro ha evidenziato. Com’è del tutto evidente, queste problematiche hanno una chiara matrice politica, nel senso alto del termine, perchè, lo ripeto, indicano un altro modello di sviluppo certamente più consono alle caratteristiche della nostra Regione. Esse necessitano di una gestione regionale pubblica ed unitaria e un protagonismo programmatico delle comunità locali, come del resto era nello spirito della mai veramente applicata l.r. n.20/92. Oggi serve ricominciare da qui!

*segretario regionale Cgil Calabria

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