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di MASSIMO COVELLO*
Col voto al Senato, poco prima di Natale, la manovra finanziaria del Governo Monti è diventata legge. E’ una manovra caratterizzata dall’iniquità, dall’ingiustizia e da un rigore a senso unico verso i lavoratori e i pensionati, verso i ceti più deboli. Il costo della manovra, fatta di tasse sul lavoro e di aumenti generici sui servizi, è, infatti, per l’80% a carico dei pensionati, delle donne, dei giovani e dei lavoratori mentre il 15% viene recuperato dai redditi alti e solo un misero 5% dalle grandi ricchezze. Nessuna delle questioni strutturali che hanno portato il Paese nel baratro della crisi, è stata affrontata con questa manovra. Non è stato accolto l’appello, che eminenti personalità del mondo accademico, politico e culturale hanno rivolto, così come in Francia, per la costituzione di un Audit pubblico dei cittadini sul debito pubblico, per rivederne in profondità la sua entità e la sua origine, onde potere intervenire per davvero con giustizia. Da qui, nessun contrasto alla scandalosa evasione fiscale, ne allo squilibrio nella distribuzione della ricchezza; nessun prelievo sui grandi patrimoni, né tagli reali ai privilegi ed agli sprechi – si pensi solo alle grandi opere inutili ed alle spese militari -, nessun segno di attenzione ai problemi dello squilibrio territoriale del Paese, al peculiare dramma della Calabria, ne sono previste azioni per contrastare la precarietà e valorizzare il lavoro. Si è puntato solo a rassicurare la Bce ed i cosiddetti “mercati”, a mostrarsi accondiscendenti con i desiderata della Merkel e di Sarkozy, a favorire lobby imprenditoriali, dentro uno schema di pensiero neoliberista tanto ideologico quanto fallimentare, che vede nei diritti dei lavoratori e nel sistema pensionistico l’origine di tutti i mali. Tutto questo, si è detto, per evitare il fallimento e l’uscita dall’euro, riconquistarsi la fiducia dei mercati finanziari e delle banche, nascondendo il fatto, questo si reale, che il Paese è dichiaratamente in recessione, dentro una spirale di impoverimento che mina la coesione sociale e territoriale, con punte drammatiche di disagio nella nostra Regione con migliaia di inoccupati, di nuovi disoccupati e lavoratori poveri e senza diritti. Non era quello che ci si aspettava, anche se le premesse c’erano tutte. Con questa manovra questo del professor Monti non è il Governo di “salvezza nazionale” che ci hanno voluto far credere. Certo è determinato, è presentabile, in maniera imparagonabile al Governo di Berlusconi, ma le ricette che ha propugnato e sostiene in materia di fisco, lavoro, previdenza, assistenza, servizi pubblici, relazioni sociali e rappresentanza democratica, sono in linea col predecessore e sono quanto di più lontano da quel modello sociale Europeo da cui bisognerebbe trarre ispirazione. Monti ed il suo Governo, nella fase di elaborazione della manovra hanno mostrato un rigore autoreferenziale inaccettabile, sordo ad ogni sollecitazione, sicuramente a quelle provenienti dal mondo del lavoro, dalle organizzazioni sindacali e dalla Cgil in particolare. L’accanimento col quale ha messo mano al sistema pensionistico ha aperto ferite profonde, creato lacerazioni generazionali e di genere, impoverito ulteriormente milioni di pensionati a cui è stata bloccata la rivalutazione. Altrettanto esplicita ed ostentata è stata l’indifferenza mostrata finora verso l’arroganza della Fiat, che dopo aver stracciato il Ccnl è arrivata a determinare un sistema contrattuale autoritario – modello Pomigliano – teso a discriminare l’autonoma scelta di rappresentanza dei lavoratori attraverso l’esclusione della Fiom dalle fabbriche e non dando nessun conto degli investimenti sempre annunciati e mai resi esecutivi. Così il tentativo annunciato dalla ministra Fornero, di mettere mano all’art. 18, perché attraverso la libertà di licenziamento senza giusta causa si possano creare più occasioni di lavoro (Sic), sono tutti segni di una volontà politica precisa: ridurre il ruolo del lavoro, ridurre i diritti, ridurre la democrazia sociale. Con queste ricette il nostro Paese non esce dalla crisi, semmai regredisce si lacera e divide. In questa logica proprio il Mezzogiorno, la Calabria, i nostri territori non avranno futuro. Non pensino il Governo Monti e le forze composite che lo sostengono che si possa non tenere conto di questa situazione. Non pensino di continuare con la vecchia logica dei due tempi. Ci sono forze che non si rassegnano ne vogliono cedere il passo a ribellismi o a fratture neocorporative. Le mobilitazioni, gli scioperi, le lotte di questi anni e quelle attuali dei pensionati e dei lavoratori, unitarie e/o della sola Cgil, ad ogni livello, così come quelle dei movimenti, degli studenti, delle donne, hanno dimostrato che c’è in campo un’altra possibilità ed un’altra strada nella giustizia sociale e nel rispetto dei diritti sociali e del lavoro. Se sarà necessario dovranno essercene tante altre. A sostegno di una proposta di politica economica e di coesione sociale del tutto alternativa a quella avanzata in questi anni dai vari governi che si sono succeduti ed a quest’ultima del governo Monti e improntata alla redistribuzione della ricchezza alla valorizzazione dei beni comuni, del lavoro, del welfare, dell’ambiente contro gli interessi del profitto e della speculazione finanziaria. Una politica economica per il 99% contro l’1%, che faccia del 2012 l’anno di un nuovo inizio.
*segretario regionale Cgil

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