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di BIAGIO SIMONETTA
Una bottiglia d’acido costa meno di un euro. La trovi facilmente, fra gli scaffali zeppi dei supermercati in centro. Sull’etichetta le croci nere su sfondo arancione sono il messaggio più lampante. Pericolo. Ne ho fissato una, due giorni fa, in un centro commerciale addobbato coi cuori per San Valentino. L’ho presa in mano, quasi illudendomi di poterne avvertire il calore. Sessantanove centesimi, un litro. Maria Concetta Cacciola ne ha
ingerito un bicchiere per farla finita. Ha deciso di uccidersi per spegnere le sofferenze di una vita che andrebbe raccontata. Non aveva bisogno, Maria Concetta, di spegnere i suoi sogni. Perché quelli erano spenti già da tempo.
Anche la morte di Lea Garofalo è legata all’acido. Cinquanta litri in un bidone bianco, procurato dai cinesi di via Paolo Sarpi, a Milano. L’hanno sciolta tessuto dopo tessuto. Lea sognava ancora, nonostante tutto.
Maria Concetta Cacciola e Lea Garofalo conoscevano la ‘ndrangheta meglio di molti magistrati e di ogni saggista. Avevano annusato gli odori di certi ambienti, ascoltato i silenzi di alcune stanze. Erano figlie di un mondo senza alternative. Eppure avevano deciso, forse incoscientemente, di regalarsi un futuro diverso. Ci hanno provato. Come ci sta provando Giuseppina Pesce, altra donna coraggio di questa Calabria vinta dai clan.
Non siamo stati in grado di ascoltare il loro grido d’aiuto, presi dall’ansia della corsa che ingabbia i nostri giorni. Non siamo stati capaci di capire che potevano bastare dieci Maria Concetta, dieci Lea, a far saltare il banco.
Che esempio abbiamo dato, con le loro morti, alle centinaia di ragazze appartenenti a famiglie di ‘ndrangheta? Un esempio di sconfitta, di una Calabria atarassica che tace e chiude gli occhi.
«In Calabria non si pente nessuno se no gli fanno fare la fine di Lea Garofalo, che voi calabresi avete già dimenticato»: è la frase che ascolto più spesso, in giro per l’Italia, presentando il mio libro. E mi piacerebbe rispondere che non è così. Mi piacerebbe pensare alla mia terra in modo diverso, ricordare la Calabria che sa ancora indignarsi, la Calabria del 25 settembre 2010.
Oggi, pensando alle mimose, al loro profumo, all’8 marzo inteso dal Quotidiano, mi sono sentito un calabrese fiero. Non tutto è perduto, se ci crediamo. Le morti di Lea e Maria Concetta non possiamo vanificarle, sotterrandole con l’egoismo del tempo. Forse è giunto il momento di chiederci da che parte stiamo.

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