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Che fatica essere classici già dalla nascita! Fin dal suo apparire al grande pubblico, Sergio Cammariere si è imposto come interprete di un gusto sofisticato, erede di cantanti e autori di robusta classicità. Di una canzone che fosse linea di confine tra jazz, musica leggera ricercata, spruzzate sudamericane.

Giunto al suo quinto album, l’artista di Crotone, nell’impossibilità di riscrivere o reinventare una poetica fin troppo consolidata, si conferma consumato chansonnier. Che sia maestria o sia mestiere, va col suo pianoforte e col pilota automatico. Non è musica “sanguigna”, quel che si chiede a Cammariere. Gli si chiede comfort, “situascion”, eleganza, soffusione. Nei suoi dischi non cercate novità, ma bravura. E lui, già pianista sopraffino, è circondato da strumentisti uno più bravo dell’altro: Fabrizio Bosso (tromba), Amedeo Ariano (batteria), Luca Bulgarelli (contrabbasso), Olen Cesari (violino), i sodali di sempre. Cammariere resta soprattutto un musicista, innamorato di swing, blues, bossanova. E questo nuovo album è intitolato semplicemente “Sergio Cammariere”, quasi come un programma, proprio perché risulta un compendio di stili, tutto quello che l’artista Cammariere ama e vuole portare con sé. Attraversate dalla leggerezza, le realizzazioni musicali, brillanti quando non virtuosistiche, vestono testi in genere poco ispirati e poco pregnanti, anzi spesso prevedibili come dei riempitivi, specie quelli scritti dal paroliere storico Roberto Kunstler. Qualche esempio colto qua e là: “E ora che tu sei già dentro me/ Dolce musa del mio canto/ La vita è come un sogno e tu la mia realtà” (“Inevitabilmente bossa”); “Amore dimmi almeno che verrai/ Un giorno sarà solo per noi due/ E allora niente ci dividerà/ Sarai la mia felicità” (“La mia felicità”). Meglio la felpatissima, brasilera “Com’è che ti va”, che reinterpreta a meraviglia “Onde Anda Você” di Vinicius con testo in italiano liberamente trasposto da Sergio Bardotti; o l’adattamento realizzato a cura di Sergio Secondiano Sacchi da Vladimir Vysotskij, nella deandreiana “Il Principe Amleto”, o ancora la collaborazione con il versatile Giulio Casale nell’afrocubana “Transamericana”.

D’altra parte, la stessa “Inevitabilmente bossa” ha un andamento talmente stiloso e “Notturno swing” ti fa venire voglia di trovarti a lume di candela con chi hai sempre amato, mentre “Thomas” (strumentale) è un bellissimo pezzo di atmosfera e “Buonanotte per te” ti fa ripensare a quello che hai irrimediabilmente perduto, ma, chissà come e per quale arcano, senza farti disperare. È forse questa la forza dei super-classici.

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