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E ora da dove si riparte? Il voto choc ha disorientato gli italiani. Persino quegli stessi che hanno contribuito a determinarlo. Se guardiamo i numeri notiamo che il movimento di Grillo ha la forza di un partito di massa. 

Ma tra il blocco elettorale che lo sostiene, la proposta del leader guru e lo spessore della nuova classe dirigente che ha portato in Parlamento c’è una profonda contraddizione.  Il pensionato o la professoressa di Potenza che hanno votato, con impeto last minute, i grillini cosa hanno in comune con l’idea di una politica “delegata ma senza mediazione” (a proposito non è una contraddizione)? Probabilmente nulla. E perché un docente universitario, con stipendio dignitosissimo e sicuro, ha votato Grillo? Perché lo ha fatto un avvocato affermato? C’è un sentimento diffuso e trasversale di resa dei conti. Che va oltre i bisogni reali individuali: un panico da sistema immobile, di pedaggio continuo, di sacrifici estremi. E di disparità dilagante. 

Fa un po’ senso quel monitor che Grillo utilizza all’interno della sua fortezza con piscina. Eppure il comico miliardario è stato più credibile del figlio del benzinaio sposato con una donna dai cappotti improbabili e alla nostra portata. Paradossalmente la pretesa di responsabilità e di rigore avanzata da Bersani non ha attecchito nel cuore e nella cultura degli italiani. Soprattutto al Sud. C’è una certa italiana, cialtrona, beatamente truffaldina, briatoriana e desiderosa di esserlo ancora, una certa Italia ontologicamente di destra che ha continuato a votare Berlusconi (che comunque ha perso sei milioni di voti in tutt’Italia). 

E c’è poi un’Italia disciplinata e responsabile, che ha pagato e continua a pagare, che ha accettato sacrifici per lunghissimi anni e negli ultimi mesi in maniera cruenta, ma che ora non ce la fa più. Sono i più poveri. Quelli che a dicembre speravano che Monti potesse accogliere la proposta della Cgil sulla detassazione delle tredicesime. Non solo il professore disse no, ma c’è chi la tredicesima neppure l’ha avuta. La proposta di governo riformista non poteva passare in chi, pur scioccato dal modello culturale berlusconiano, non ha trovato in Bersani l’alternativa convicente. Oggi, a urne chiuse, il problema del centrosinistra è fortissimo, stretto tra grillismo, neomaggioranza montiana, vendoliani. Lo scenario nazionale ed europeo è quanto mai incerto e la Basilicata è dentro questo cammino comune. Eppure il risultato elettorale lucano può diventare la prova per tentare un ragionamento.

 Il Pd ha perso sessantamila voti rispetto alle ultime politiche. A parte tutti gli algoritmi per mettere in colonna i numeri, paese per paese, il crollo di consenso è stato enorme. La rottura evidente di una lunga intesa è stata subito intercettata dall’onda lunga dei grillini. Questo è un primo dato significativo. L’onda nazionale non risparmia, al tempo della democrazia partecipata, il più piccolo dei paesi dell’Osso d’Italia. Prima non sarebbe stato così. 

E dunque bisogna tenerlo presente per il futuro. Per la prima volta, dopo una lunga storia, s’è rotto il patto tra i lucani e il centrosinistra. Un altro voto è possibile, questo ci dicono le urne, e sarà ancora possibile. Il grillismo chiude anche una stagione politico-giustizialista per come è stata costruita nel periodo post-tangentopoli e che da queste parti è stata moralisticamente strumentalizzata. Ci sono in giro per il sud comuni con sindaci berlusconiani arrestati dove il centrodestra ha continuato a fare il botto. Forse la fine vera della prima repubblica è oggi. La seconda repubblica è stata una transizione giudiziaria, un interregno che si è presto esaurito. Con l’uscita di scena dei vari Di Pietro è tornata forte l’idea che il rinnovamento della classe politica non può avvenire a colpi di pm. 

Quel “mandiamoli tutti a casa” non è il mandiamo a casa gli indagati. Mandiamoli tutti a casa perché non ci rappresentano più, perché non sanno più trovare le parole per farsi ascoltare, perché i primi commenti arrivati ancora ieri ai giornali erano terribilmente antichi, fuori contesto. Grillo oggi teorizza l’idea dei cittadini che diventano stato, senza delega. Un po’ un’acrobazia istituzionale. Eppure cos’era quella rappresentanza senza mandato territoriale che avrebbero dovuto avere i nostri parlamentari nello spirito della Costituzione? Noi vogliamo continuare a delegare, ma vogliamo vivere bene, tutti. I lucani finora non hanno scelto. 

C’era un’unica strada percorribile, obbligata. La scelta di oggi è una rottura. E allora: da che parte va il centrosinistra? I neoeletti parlamentari lucani del movimento cinque stelle è difficile che riescano ad avere un verbo diverso da quello del capo. Passata la festa restano però i vuoti a perdere. E’ tutto un capitolo da leggere. Nel frattempo ognuno deve ripartire dalla sua piccola comunità. Senza patteggiamenti e senza scambi. Magari iniziando a dire: abbiamo sbagliato. Potrebbe essere una provvidenziale liberazione. Un potere che si autodifende diventa più comico del comico. Il panico da consenso ha prodotto lo sfascio di queste ore. 

E allora diamoci degli obiettivi: poche idee, chiare e precise. I lucani hanno detto che vogliono cambiare. L’assemblearismo digitale, a volte un po’ sconcio, ci restituisce questo. Questi sono gli uomini e le donne che devono essere governati. Ignorarli sarebbe un atto di spocchia suicida, una politica da catastrofe. Allora sì che avrebbe ragione Grillo: vilipendio di cadavere. 

 

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