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Venerdì scorso un giornalista di 40 anni, un collega di Cosenza, s’è tolto la vita. Era straordinariamente bravo, originale e creativo. A rileggere la sua pagina Fb e persino alcune mail, recentissime, si scoprono angoscianti segni premonitori. Il giornale dove lavorava, gli altri concorrenti, i siti e i blog hanno dato la notizia salutandolo con nome, cognome, foto. Il male di vivere (spesso il male di questa professione) lo puoi leggere in un diario pubblico mondiale e poi magari ti sfugge nello sguardo che ti rivolge dalla scrivania accanto chi lo sta soffrendo. Prendo spunto da questa tragedia molto personale per aprire una discussione con i lettori, confrontarmi con loro su come rispettare silenzi e memoria e sul ruolo di un cronista oggi. 

Siamo una categoria giustamente in discussione, eppure ci sono processi che non riusciamo a cogliere. La Storia corre più velocemente delle nostre abilità e delle nostre vecchie riserve mentali. Tre, quattro giorni fa l’Ordine dei giornalisti della Basilicata ha censurato il collega Leo Amato per un episodio simile a quello che ho raccontato, ma molto più eclatante. In verità ha messo insieme in un unico calderone fatti vecchi e fatti più recenti, ritenendo che la cronaca a mio avviso onesta svolta da Amato e dunque dal Quotidiano violasse la privacy delle persone. Attenzione: parliamo di maggiorenni, tanto per iniziare. Forse è arrivato il momento che l’hashtag “open” tanto in voga nella politica iniziamo a usarlo anche noi giornalisti. Abbiamo combattuto battaglie a difesa della libertà di espressione, 20 anni di berlusconismo ci hanno delegittimato, eravamo sempre noi a capire male, oggi i cinquestelle ci ridicolizzano e ci trattano come appestati. 

Le aziende editoriali sono in crisi, le querele e le richieste di risarcimento sono diventate lo sport preferito del potere. Bene. Ricevere una censura (che è una sanzione non di poco conto e la sola parola già mi fa venire l’orticaria) da chi piuttosto dovrebbe tutelarci è paradossale. Questi sono i fatti. Iniziamo. L’anno scorso pubblicammo la notizia di un ragazzo di 24 anni che annunciava la sua morte su FB. Suicidio in diretta. Sfido i giornalisti di tutto il mondo a dirmi se questa è o non è una notizia. Un profilo del social, tra l’altro, aperto, accessibile a tutti. Riempiamo pagine e pagine sul rapporto tra social media e carta stampata, ci ammorbiamo con estenuanti discussioni sulla data di pubblicazione dell’ultimo giornale di carta e poi dimostriamo di non capire dove va il mondo e nel pieno di un’era senza regole e senza certezze l’Ordine non trova di meglio che censurare un collega, tra l’altro appena praticante. 

Finora tutte le inchieste — molte, moltissime — che ha firmato Leo Amato le ha scritte a suo rischio e pericolo, senza neppure la tutela del segreto professionale che invece hanno alcuni soloni dell’informazione che forse in vita loro non hanno mai avuto una querela perchè si sono tenuti ben alla larga da notizie che scottano. Se i colleghi dell’Ordine avessero accolto l’invito del sindaco di Potenza e fossero venuti ad ascoltare Derrick de Kerckhove, forse qualche dubbio su che cosa è oggi la soggettività e la privacy l’avrebbero avuto. Andiamo avanti. La censura riguarda anche un caso di sequestro di persona. Vittima una donna. Anche lei adulta. Anche qui stento a capire dove abbiamo sbagliato. In base a questa singolare posizione dell’ordine della Basilicata non avremmo mai potuto scrivere di Elisa Claps o di Ottavia Montemurro. E si tratta, in questo caso, di due minorenni. Ma la perla è un’altra e riguarda — udite udite — l’inchiesta Arpab, cioè uno dei più grandi scandali del potere lucano di cui il Quotidiano per mesi si è occupato con notizie in esclusiva. In uno degli articoli pubblicati si poteva leggere di un’intercettazione ambientale nella quale l’ex direttore generale dell’Arpab, Sigillito, rassicurava nel suo ufficio un funzionario sul mantenimento di alcune non meglio precisate promesse in cambio di voti per un candidato del Pd. Quell’inchiesta, come i lettori ricorderanno, ha rivelato la trama del sistema clientelare del potere lucano. Era o non era un dovere dei giornali raccontarla? I consiglieri dell’Ordine hanno ritenuto prevalente, rispetto all’interesse pubblico a sapere, il diritto di tutela della privacy di una persona intercettata, il cui nome compariva in atti giudiziari pubblici. Per scrupolo e per paura di essere abbagliata da spirito di appartenenza mi sono confrontata con il mio ordine professionale, quello di Napoli. Ho chiesto, ho verificato quante censure avessero comminato negli ultimi anni. Qualche avvertimento, mi hanno risposto. La censura quasi mai. E comunque per comportamenti deontologicamente scorretti, come può essere la slealtà tra colleghi. 

Eppure di cronaca giudiziaria ce n’è in Campania. Il declino di Berlusconi è iniziato con una breve in cronaca di Napoli. Concita Sannino scrisse della famosa festa privata di compleanno di Noemi. E Ruby: era o non era minorenne? Quale privacy andava tutelata in questo caso? Tra l’altro gli ordini professionali sono in una specie di semestre bianco. La nuova normativa li spoglia del potere disciplinare demandandola ad una apposita commissione fatta sempre di giornalisti ma separata dall’Ordine. Siamo stati sfortunati. Perché gli articoli che ci contestano, pur se datati, sono stati riesumati e contestati alla vigilia di Natale, il 22 dicembre. Una settimana dopo e l’Ordine non se ne sarebbe più potuto occupare. Sarei curiosa a questo punto di conoscere il tenore delle altre censure. 

Sarei curiosa di conoscere se per le bufale, i falsi omicidi e i finti arresti l’Ordine procede allo stesso modo. Dispiace che tra i consiglieri che hanno votato la censura al collega ci sia anche una collega del Quotidiano e che bene avrebbe fatto ad astenersi conoscendo lo scrupolo che ogni giorno mettiamo nel fare informazione e i nostri obiettivi che sono null’altro che raccontare quello che sappiamo. E’ nostro dovere bilanciare gli interessi, sicuramente, chiedere scusa quando sbagliamo, non avere mai l’ultima parola, perché sarebbe troppo arrogante. Ma ci riconosceranno i lettori che non abbiamo mai occultato nomi di potenti sputtanando solo i poveri cristi, come pure è abitudine di molti. E faccio l’esempio di una vecchia inchiesta sulla sanità. Sulla prima pagina di un giornale concorrente e che ancora conservo si annunciavano 33 indagati e all’interno una bella tabella ne conteneva di meno, omettendo guarda caso, il nome del più potente della lista, Antonio Potenza, ex assessore alla Sanità. E non solo. Sono molto amareggiata. Non ci contestano di aver pubblicato notizie false. Eppure io stessa inviai una mail su un caso ben più grave, di false dichiarazioni rese a un giudice. Sarei curiosa di sapere se questa condotta è stata censurata o no. Apriamo un po’ anche i nostri armadi, forza. Nel mio troverete solo abiti comprati agli outlet. L’Ordine è solito rispondere: queste sono le regole. Dimenticando la fluidità dei tempi che viviamo. Non una parola è venuta né dall’Ordine né dall’Assostampa per le cinque contrattualizzazioni da praticante che l’editore del Quotidiano che ringrazio per la fiducia ha firmato nei confronti di altrettanti colleghi insieme alla mia nomina a direttore. Investire in tempo di crisi non è da tutti. E poi silenzio, silenzio assordante sull’ultima querela ricevuta da uno dei più potenti uomini dell’apparato regionale. Solerti nel censurare. Immobili sui problemi veri di questa professione. Forza, parliamone. Se non ora, quando? 

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