X
<
>

Condividi:
6 minuti per la lettura

CROTONE – «Una trappola». Ne è convinto il pentito crotonese Luigi Bonaventura, che nei giorni scorsi ha ricevuto dallo Stato lo “sfratto” da Termoli, cosiddetta località protetta dove, tanto per non riandare con la memoria ad un passato remoto, l’altra sera si è sparato contro una lavanderia mentre montano le denunce sulle infiltrazioni della ‘ndrangheta in tutto il Molise, ex oasi felice in cui lo Stato ha mandato decine di testimoni e collaboratori di giustizia. Ora, però, uno di loro lo manda via perché Termoli è pericolosa. La Commissione centrale del Ministero dell’Interno ha, infatti, invitato Bonaventura «a dare corso al trasferimento in altra località, fornendo eventuali indicazioni di preferenza». La Commissione indica un termine di 60 giorni e si riserva, «all’esito del trasferimento, le determinazioni in ordine alla proroga del programma di protezione e alla richiesta di audizione». Ma perché è una «trappola?» Perché, se, come premette il Ministero nella sua delibera, «è lo stesso ricorrente a denunciare diffusamente l’estremo pericolo della sua permanenza nell’attuale località?». Secondo Bonaventura, «c’è il rischio – dice –  che mi mandino in un albergo dove, nel frattempo, potrebbe arrivare la comunicazione della revoca del programma di protezione». Sulla proroga del programma, scaduto il 31 dicembre 2011, infatti, il Ministero si riserva nonostante il parere favorevole della Dna al mantenimento della protezione, condizionato comunque all’impegno di Bonaventura a lasciare la località. La stessa Dna ritiene, infatti, «oggettivi» i «motivi di sicurezza». 
Ora, più volte, Bonaventura ha denunciato che Termoli non è sicura. Ma ha denunciato anche infiltrazioni, a suo dire, nei Nop, gli agenti del Nucleo operativo di protezione che sono preposti alla sua tutela. «Perché dovrei comunicare, anche in busta chiusa, a loro la località prescelta, dove dovrebbe essere attuata la mimetizzazione, se li ho denunciati?». Bonaventura, proprio nella sua prima intervista, quella rilasciata al Quotidiano nel gennaio dello scorso anno, ha sollevato accuse pesanti rilevando falle nel sistema di protezione. Per questo il pentito chiedeva un’audizione presso il Servizio centrale di protezione. «Il problema – sempre per il pentito – non è il trasferimento da Termoli in sé stesso, ma i criteri e le modalità con cui dovrebbe essere attuato. Il Consiglio di Stato sulle garanzie di mimetizzazione mi aveva dato ragione. Invece, sembra quasi di essere spinti a uscire dal programma di protezione, come fecero con Lea Garofalo». Il Consiglio di Stato, sul finire del gennaio scorso, in effetti rilevava «l’ovvia necessità che nella località di destinazione siano disposte adeguate misure per l’effettiva mimetizzazione». Ma perché Bonaventura si rivolse al Consiglio di Stato? Il Tar nel novembre scorso aveva respinto la richiesta di annullamento del provvedimento con cui, lo scorso 11 luglio, la Commissione centrale invitava Bonaventura a dare immediato corso al trasferimento. E il Consiglio di Stato ritenne inammissibile il ricorso.
Dopo che il pentito ha contribuito a far infliggere pene per secoli a boss e gregari delle cosche del Crotonese, dopo aver collaborato con una decina di Procure di tutt’Italia,  dopo aver rifiutato i soldi offertigli per la ritrattazione dai clan, Bonaventura, si sente «sempre di più in pericolo». «Mi diano almeno una scorta momentanea», chiede ancora.
 Infine: «non ho ancora ricevuto risposte alla richiesta di ottenere lo status di testimone di giustizia», lamenta.

CROTONE – «Una trappola». Ne è convinto il pentito crotonese Luigi Bonaventura, che nei giorni scorsi ha ricevuto dallo Stato lo “sfratto” da Termoli, cosiddetta località protetta dove, tanto per non riandare con la memoria ad un passato remoto, l’altra sera si è sparato contro una lavanderia mentre montano le denunce sulle infiltrazioni della ‘ndrangheta in tutto il Molise, ex oasi felice in cui lo Stato ha mandato decine di testimoni e collaboratori di giustizia. Ora, però, uno di loro lo manda via perché Termoli è pericolosa. La Commissione centrale del Ministero dell’Interno ha, infatti, invitato Bonaventura «a dare corso al trasferimento in altra località, fornendo eventuali indicazioni di preferenza». La Commissione indica un termine di 60 giorni e si riserva, «all’esito del trasferimento, le determinazioni in ordine alla proroga del programma di protezione e alla richiesta di audizione». Ma perché è una «trappola?» Perché, se, come premette il Ministero nella sua delibera, «è lo stesso ricorrente a denunciare diffusamente l’estremo pericolo della sua permanenza nell’attuale località?». 

Secondo Bonaventura, «c’è il rischio – dice –  che mi mandino in un albergo dove, nel frattempo, potrebbe arrivare la comunicazione della revoca del programma di protezione». Sulla proroga del programma, scaduto il 31 dicembre 2011, infatti, il Ministero si riserva nonostante il parere favorevole della Dna al mantenimento della protezione, condizionato comunque all’impegno di Bonaventura a lasciare la località. La stessa Dna ritiene, infatti, «oggettivi» i «motivi di sicurezza». Ora, più volte, Bonaventura ha denunciato che Termoli non è sicura. Ma ha denunciato anche infiltrazioni, a suo dire, nei Nop, gli agenti del Nucleo operativo di protezione che sono preposti alla sua tutela. «Perché dovrei comunicare, anche in busta chiusa, a loro la località prescelta, dove dovrebbe essere attuata la mimetizzazione, se li ho denunciati?». Bonaventura, proprio nella sua prima intervista, quella rilasciata al Quotidiano nel gennaio dello scorso anno, ha sollevato accuse pesanti rilevando falle nel sistema di protezione. Per questo il pentito chiedeva un’audizione presso il Servizio centrale di protezione. «Il problema – sempre per il pentito – non è il trasferimento da Termoli in sé stesso, ma i criteri e le modalità con cui dovrebbe essere attuato. Il Consiglio di Stato sulle garanzie di mimetizzazione mi aveva dato ragione. Invece, sembra quasi di essere spinti a uscire dal programma di protezione, come fecero con Lea Garofalo». 

Il Consiglio di Stato, sul finire del gennaio scorso, in effetti rilevava «l’ovvia necessità che nella località di destinazione siano disposte adeguate misure per l’effettiva mimetizzazione». Ma perché Bonaventura si rivolse al Consiglio di Stato? Il Tar nel novembre scorso aveva respinto la richiesta di annullamento del provvedimento con cui, lo scorso 11 luglio, la Commissione centrale invitava Bonaventura a dare immediato corso al trasferimento. E il Consiglio di Stato ritenne inammissibile il ricorso.Dopo che il pentito ha contribuito a far infliggere pene per secoli a boss e gregari delle cosche del Crotonese, dopo aver collaborato con una decina di Procure di tutt’Italia,  dopo aver rifiutato i soldi offertigli per la ritrattazione dai clan, Bonaventura, si sente «sempre di più in pericolo». «Mi diano almeno una scorta momentanea», chiede ancora. Infine: «non ho ancora ricevuto risposte alla richiesta di ottenere lo status di testimone di giustizia», lamenta.

Condividi:

COPYRIGHT
Il Quotidiano del Sud © - RIPRODUZIONE RISERVATA

EDICOLA DIGITALE