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 Da due anni porta avanti un progetto di alfabetizzazione a Beni Mellall in Marocco
«Vi racconto la mia Africa»
La storia di Giampiero Carretta originario di Lavello e cooperante del Cefa
LAVELLO – Lo incontriamo a Beni Mellall nell’area del Tadla Zilall in Marocco. Da due anni anni Giampiero Carretta di Lavello è cooperante per conto del Comitato Europeo per la Formazione e l’Agricoltura. 
Qui, insieme ad alcuni colleghi, porta avanti un progetto per l’alfabetizzazione e di supporto alla popolazione locale. 
La sua esperienza ce l’ha voluta raccontare. Il nostro incontro comuncia con una domanda. 
«Sai cosa hanno in comune tutti i poveri del mondo? Se gli chiedi come va? Loro ti guardano, sorridono e ti dicono: “tutto bene”. Qui non incontri persone tristi. Dovresti vedere il loro sorriso. Sono poveri ma felici».
 
Siediti, mi dice, «Ti racconto l’Africa, quella che forse non ti aspetti, quella di bambini che percorrono mediamente quindici chilometri a piedi per arrivare a scuola tra automobili che sfrecciano veloci, carretti trainati da asini ed ogni mezzo inventato dall’uomo, per andare a scuola. Sanno che imparare a leggere e scrivere può fare la differenza. Puoi dargli la possibilità di leggere anche il semplice bugiardino di un medicinale. una cosa che per noi è banale. Raggiungere la scuola. Una scuola, molto spesso con un solo professore, che per vera dedizione di servizio, fa lezione per tutti. Il giovane non sa quando toccherà alla sua classe fare lezione e, quindi, non sa quando potrà incamminarsi seguendo al buio la via di casa». 
Carretta crede nelle cose che fa. Lo testimonia il suo racconto appassionato.
 «Bimbi – continua – che molto spesso tornano a casa a sera, incamminandosi su strade scarsamente illuminate ed a scorrimento veloce. Su queste strade muoiono dieci persone al giorno, molte di loro investite». 
E sul progetto per cui è in Marocco, spiega: «prima di venire qua non avevo idea di cosa fosse l’analfabetismo, si, conoscevo la parola, però qua ho realmente capito cosa può significare. Mi è capitato spesso di andare in giro per far firmare delle carte e vedi gente che firma con l’impronta digitale, questo vuol dire che non hanno mai tenuto una penna in mano e non sanno fare neppure una x. Nella vita di tutti i giorni questo comporta non conoscere una data di scadenza, non poter prendere un autobus, non leggere un bugiardino di un farmaco, non sapere quanto stai dando di resto ad una persona, molta gente capita che ti dica cifre, parlando di una moneta che non c’è più da vent’anni, perché non sanno calcolare con la nuova, oppure conosce solo il colore delle banconote, ma non il valore, tutta una serie di cose che nella vita quotidiana fanno una grossa differenza». 
E aggiunge: «con i corsi di alfabetizzazione che abbiamo fatto qui, molte persone mi ringraziano perché adesso possono comporre un numero di telefono per chiamare magari il figlio che sta in Europa. L’anno scorso abbiamo avuto in una classe di uomini un signore sordomuto che dopo il corso di alfabetizzazione era andato a Marrakech e non era stato più in grado di ritornare, si è recato alla centrale di polizia ha scritto su un pezzo di carte “Afourer”, il villaggetto da cui viene e la Polizia l’ha messo sull’autobus, cosa che prima non avrebbe mai potuto fare. Abbiamo pensato di inserire l’alfabetizzazione in dei contesti pratici e quotidiani che poi possono essere sfruttabili come ad esempio leggere una bolletta». 
Ma i cooperanti del Cefa non portano avanti solo il progetto di alfabetizzazione. 
«Facciamo – aggiunge Carretta – anche attività di incontro, per mettere in pratica quello che hanno appreso. Ad esempio c’è chi ricama, chi dipinge sul vetro delle lettere, dei numeri, si cerca di coniugare il lato artistico con il mettere in pratica ciò che si è imparato.  Anche per realizzare una semplice ricetta di cucina, devi saper pesare il chilo e devi avere delle conoscenze di base che noi forniamo . In questi incontri si creano momenti di sinergia e di confronto tra loro stesse. A questo si è pensato di inserire anche attività di sensibilizzazione sulla salute, ad esempio abbiamo scoperto che molte di queste persone non vedevano, non si sono mai accorte ad esempio di non vedere da lontano, se ne sono accorte guardando una lavagna«. 
«Per l’insegnamento agli adulti abbiamo degli animatori e delle animatrici che vengono formati da un nostro partner l’Aideca di Afourer, che si occupa della loro preparazione, tenendo conto che insegnare agli adulti è tutto molto diverso rispetto ad insegnare a bambini, perché comunque un adulto si deve rimettere in discussione e come insegnare, perché appunto non puoi fare la didattica che fai ai bambini, cerchi sempre di inserire l’alfabetizzazione in dei contesti pratici». Un ultimo pensiero ce l’ha per loro, le persone che incontra tutti i giorni.
«“Shukran bezief”, ti dicono, ogni qualvolta ti incontrano, “grazie molte” per aver cambiato la mia vita, per avermi dato la possibilità di leggere e di cambiare in meglio. Shukran mi dice una signora, stringendo gli occhiali che gli ho regalato. Vuole sdebitarsi, vuole prepararmi del te con della menta fresca. Io l’accetto perché in ogni incontro c’è uno scambio, un arricchimento. Incontrare queste persone ti cambia da dentro». E conclude. «Adesso, fai la stessa cosa, torna in Italia e chiedi in giro “come va?”, non credo che riceverai la stessa risposta. L’Africa la senti dentro e non ti lascia più ed io sento che sto facendo un buon lavoro». 
Alessandro Zenti

LAVELLO – Lo incontriamo a Beni Mellall nell’area del Tadla Zilall in Marocco. Da due anni anni Giampiero Carretta di Lavello è cooperante per conto del Comitato Europeo per la Formazione e l’Agricoltura. Qui, insieme ad alcuni colleghi, porta avanti un progetto per l’alfabetizzazione e di supporto alla popolazione locale. La sua esperienza ce l’ha voluta raccontare. Il nostro incontro comuncia con una domanda. «Sai cosa hanno in comune tutti i poveri del mondo? Se gli chiedi come va? Loro ti guardano, sorridono e ti dicono: “tutto bene”. Qui non incontri persone tristi. Dovresti vedere il loro sorriso. Sono poveri ma felici». Siediti, mi dice, «Ti racconto l’Africa, quella che forse non ti aspetti, quella di bambini che percorrono mediamente quindici chilometri a piedi per arrivare a scuola tra automobili che sfrecciano veloci, carretti trainati da asini ed ogni mezzo inventato dall’uomo, per andare a scuola. Sanno che imparare a leggere e scrivere può fare la differenza. Puoi dargli la possibilità di leggere anche il semplice bugiardino di un medicinale. una cosa che per noi è banale. Raggiungere la scuola. Una scuola, molto spesso con un solo professore, che per vera dedizione di servizio, fa lezione per tutti. Il giovane non sa quando toccherà alla sua classe fare lezione e, quindi, non sa quando potrà incamminarsi seguendo al buio la via di casa». Carretta crede nelle cose che fa. Lo testimonia il suo racconto appassionato. «Bimbi – continua – che molto spesso tornano a casa a sera, incamminandosi su strade scarsamente illuminate ed a scorrimento veloce. Su queste strade muoiono dieci persone al giorno, molte di loro investite». 

 

E sul progetto per cui è in Marocco, spiega: «prima di venire qua non avevo idea di cosa fosse l’analfabetismo, si, conoscevo la parola, però qua ho realmente capito cosa può significare. Mi è capitato spesso di andare in giro per far firmare delle carte e vedi gente che firma con l’impronta digitale, questo vuol dire che non hanno mai tenuto una penna in mano e non sanno fare neppure una x. Nella vita di tutti i giorni questo comporta non conoscere una data di scadenza, non poter prendere un autobus, non leggere un bugiardino di un farmaco, non sapere quanto stai dando di resto ad una persona, molta gente capita che ti dica cifre, parlando di una moneta che non c’è più da vent’anni, perché non sanno calcolare con la nuova, oppure conosce solo il colore delle banconote, ma non il valore, tutta una serie di cose che nella vita quotidiana fanno una grossa differenza». E aggiunge: «con i corsi di alfabetizzazione che abbiamo fatto qui, molte persone mi ringraziano perché adesso possono comporre un numero di telefono per chiamare magari il figlio che sta in Europa. L’anno scorso abbiamo avuto in una classe di uomini un signore sordomuto che dopo il corso di alfabetizzazione era andato a Marrakech e non era stato più in grado di ritornare, si è recato alla centrale di polizia ha scritto su un pezzo di carte “Afourer”, il villaggetto da cui viene e la Polizia l’ha messo sull’autobus, cosa che prima non avrebbe mai potuto fare. Abbiamo pensato di inserire l’alfabetizzazione in dei contesti pratici e quotidiani che poi possono essere sfruttabili come ad esempio leggere una bolletta». 

Ma i cooperanti del Cefa non portano avanti solo il progetto di alfabetizzazione. «Facciamo – aggiunge Carretta – anche attività di incontro, per mettere in pratica quello che hanno appreso. Ad esempio c’è chi ricama, chi dipinge sul vetro delle lettere, dei numeri, si cerca di coniugare il lato artistico con il mettere in pratica ciò che si è imparato.  Anche per realizzare una semplice ricetta di cucina, devi saper pesare il chilo e devi avere delle conoscenze di base che noi forniamo . In questi incontri si creano momenti di sinergia e di confronto tra loro stesse. A questo si è pensato di inserire anche attività di sensibilizzazione sulla salute, ad esempio abbiamo scoperto che molte di queste persone non vedevano, non si sono mai accorte ad esempio di non vedere da lontano, se ne sono accorte guardando una lavagna«. «Per l’insegnamento agli adulti abbiamo degli animatori e delle animatrici che vengono formati da un nostro partner l’Aideca di Afourer, che si occupa della loro preparazione, tenendo conto che insegnare agli adulti è tutto molto diverso rispetto ad insegnare a bambini, perché comunque un adulto si deve rimettere in discussione e come insegnare, perché appunto non puoi fare la didattica che fai ai bambini, cerchi sempre di inserire l’alfabetizzazione in dei contesti pratici». 

Un ultimo pensiero ce l’ha per loro, le persone che incontra tutti i giorni.«“Shukran bezief”, ti dicono, ogni qualvolta ti incontrano, “grazie molte” per aver cambiato la mia vita, per avermi dato la possibilità di leggere e di cambiare in meglio. Shukran mi dice una signora, stringendo gli occhiali che gli ho regalato. Vuole sdebitarsi, vuole prepararmi del te con della menta fresca. Io l’accetto perché in ogni incontro c’è uno scambio, un arricchimento. Incontrare queste persone ti cambia da dentro». E conclude. «Adesso, fai la stessa cosa, torna in Italia e chiedi in giro “come va?”, non credo che riceverai la stessa risposta. L’Africa la senti dentro e non ti lascia più ed io sento che sto facendo un buon lavoro».

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