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POTENZA – Altro che gas cancerogeni, e contaminazioni della falda. Almeno secondo Metapontum Agrobios. Peccato che 8 anni più tardi si sarebbe accertato il contrario, e nessuno può stabilire in quanti siano stati esposti alle radiazioni per colpa di quella “svista”.

«Le misure radiometriche effettuate hanno dato esito negativo – nessuna presenza di radioattività discriminabile significativamente dal fondo naturale». E’ quanto sostiene il rapporto a firma del responsabile prevenzione e protezione di Agrobios Fiorentino D’Andraia del 16 novembre del 2005 finito tra gli atti del Piano di caratterizzazione della discarica di fosfogessi e fanghi del depuratore potentino nell’area dell’ex Liquichimica della zona industriale di Tito Scalo, commissionato proprio alla società un tempo di Regione Basilicata ed Eni e dal 1998 di Regione e Alsia.

Costo totale: 914mila euro. Così il report di via Verrastro degli incarichi a consulenti e collaboratori esterni del 2005, che riepiloga l’oggetto della delibera 967 del 9 maggio del 2005. Una delle ultime della giunta guidata da Filippo Bubbico, appena una settimana prima dell’insediamento del suo successore Vito De Filippo, uscito vincente dalle consultazioni del 17/18 aprile.

La data non è un dettaglio irrilevante se si pensa che sei anni più tardi la procura regionale della Corte dei conti avrebbe provato – senza riuscirci – a recuperare 6 milioni di quegli affidamenti ad Agrobios, che dal 2004 aveva “spostato” la propria attività dal «trasferimento dell’innovazione in agricoltura e nel sistema agro-industriale attraverso progetti di ricerca e servizi analitici nel settore delle biotecnologie vegetali e dell’ambiente», a incarichi tutto sommato sovrapponibili con quelli dell’Arpab. Ma l’agenzia di via della Fisica, nata nel 2004, per i pm contabili non sarebbe stata in grado comunque di svolgere «progetti afferenti alla valutazione dell’inquinamento e da idrocarburi o presente nei siti di Tito e Valbasento», data la loro «complessità». Perciò la delibera sulla caratterizzazione dell’area dell’ex Liquichimica e il report sulla sua radioattività non è rientrata nel novero di quelle “impugnate” per danno erariale, su cui i giudici in ultimo avrebbero disatteso la richiesta di un maxi-risarcimento a carico di amministratori e dirigenti regionali  avanzata dall’accusa. Troppo «complesse» anche quelle impugnate, e troppo «inefficiente» l’Arpab. Queste in estrema sintesi le motivazioni della sentenza depositata a dicembre del 2011. Pensare che distanza di un anno e mezzo la situazione si è capovolta.

Infatti per i tecnici del Centro regionale di radioattività dell’Arpab quelli «inefficienti», o meglio inefficaci se non proprio incapaci, sarebbero i colleghi analisti di Metapontum Agrobios srl che in realtà dall’inizio dell’anno sono “transitati” per più della metà proprio nell’Agenzia, senza passare per un concorso a salvaguardia della “professionalità accumulata”. Magari imparando da certi errori.

«Sono state effettuate numerose misure: all’esterno, all’interno delle tre aree costituenti la discarica (sin dove è stato possibile addentrarsi), nelle zone intermedie a tali aree e nell’intorno del laghetto». Scrive D’Andraia a proposito del campionamento nell’area dell’ex Liquichimica. «Tutte le misure , effettuate a 1 metro di altezza dal terreno e al suolo non hanno evidenziato valori di esposizione  o di contaminazione (alfa/beta(gamma) significativamente discriminabili dal fondo naturale della zona».

«L’insieme dei dati misurati ad altezza di circa 1 metro dal suolo – scrive invece la dottoressa Fortunato dell’Arpab – può essere sintetizzato come segue: il range minimo – individuato quale “fondo ambientale” della zona varia da 65 a 95 nSv/h (unità di misura della dose equivalente di radiazione,ndr); il range dei livelli medi riscontrati nei punti esaminati e nelle condizioni all’atto dei sopralluoghi effettuati nella prima e nella seconda fase varia da 95 a 340 nSv/h; sulla base di quanto riportato nei punti precedenti si evince che in alcuni punti il rateo di dose gamma raggiunge livelli pari a oltre quattro volte i livelli di “fondo ambientale” della zona».

Con criterio «a giudizio», spiega ancora l’ingegner D’Andraia nella relazione del 2005, «sono stati prelevati all’interno della ex discarica fosfogessi 6 campioni»,  per cui «tutte le misure di conteggio effettuate (confrontate con i campioni di bianco di riferimento) non hanno fornito valori di attività che si discostano significativamente da quelli dovuti al fondo naturale».

Per la dottoressa Fortunato invece, i valori di concentrazione di figli e nipoti radioattivi dell’Uranio nei fosfogessi «risultano certamente superiori» ai dati storici dei monitoraggi effettuati in regione dall’Arpab, mediamente inferiori a 100 Bq/Kg (unità di misura dell’attività di un radionuclide, ndr). Quello del Radio in particolare, a seconda del «diverso grado di mescolamento con terreno o materiale di diversa natura/origine (compreso il materiale inerte)» in alcuni punti si aggirerebbe anche tra i 459 e i 2461 Bq/Kg rispetto a una soglia limite prevista dalla legge, oltre la quale è obbligatoria «l’adozione di azioni di rimedio» a tutela degli «individui esposti», fissata a 500 Bq/Kg.

Per non parlare della contaminazione della falda sottostante a monte di uno dei due affluenti “potentini” del Basento, che nel 2005 non è stata neanche presa in considerazione. Tre anni dopo soltanto a seguito dell’autodenuncia di un’altra ditta di Tito Scalo (la Daramic, ndr) sono state attivate delle barriere idrauliche per evitare che l’inquinamento si propagasse all’esterno dell’area industriale, e nel 2009 il sindaco di Tito ha vietato di prelevare acqua dal torrente Tora. Se no chissà per quanto tempo ancora sarebbe stata utilizzata per irrigare i campi nei dintorni.

 

LA REPLICA DELL’INGEGNERE

«Noi abbiamo fatto un tipo di sondaggio con strumentazione da campo forse meno sensibile di quella attuale. Quello fatto dall’Arpab è certamente molto più approfondito, molto più dettagliato e adeguato se si vuole, con una strumentazione sicuramente molto più forte. Basti pensare che col laboratorio hanno fatto anche la parte radiochimica. Ma anche i valori del primo sondaggio dall’Arpab sono un po’ strani perché ci sono delle zone con un valore un po’ più alto del fondo e delle zone dove addirittura è meno». Spiega così l’accaduto il responsabile prevenzione e protezione di Agrobios Fiorentino D’Andraia contattato al telefono dal Quotidiano. Sul campionamento effettuato sulle trincee della discarica di fosfogessi di Tito Scalo spiega di essersi «addentrato all’interno fin dove era possibile perché era un po’ pericoloso dato che c’erano delle dune e altri ostacoli» e di aver «cercato di monitorare» tutto quello che si poteva: «All’epoca era veramente difficilissimo un po’ anche per la vegetazione. Si può camminare un po’ sul ciglio delle dune ma addentrarsi con quel terreno che è soffice è davvero un po’ pericoloso». L’ingegnere prova a sgombrare il campo dall’idea che possano aver voluto nascondere la situazione: «Non avevamo motivo. Peraltro quello è un sito da mettere comunque in sicurezza come tutta l’area di Tito Scalo». Quanto al dato della contaminazione cerca di rimetterlo nei giusti termini: «Anche se si vedono le risultanze dell’Arpab non è che si tratti di valori così importanti. E’ solo che hanno utilizzato una strumentazione più sensibile di quella che avevamo noi a disposizione».

l.amato@luedi.it

 

 

 

 


 

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