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Reggio Calabria – Il professor A.R., ha lasciato il carcere poche ore fa. Ha raccolto la sua roba, salutato i compagni di cella e le guardie. Poi è uscito, a respirare l’aria buona della libertà. Il professor A.R. ha 38 anni e due lauree. Una in Storia dell’antico Iran, l’altra Scienze agrarie. Il professor A.R. è afghano, e per 250 giorni è stato dietro le sbarre, accusato di essere uno scafista. Si, uno di quegli straccioni che fanno su e giù attraverso il Mediterraneo a trasportare migranti per mille euro a testa. Con lui, sempre per 250 giorni, cioè da novembre scorso, erano in carcere anche il signor R.G. ed M.Z. di 22 e 33 anni. E sono usciti anche loro, per decisione del Tribunale della Libertà di Reggio Calabria, che ha preso atto delle carte depositate dal loro avvocato, Giuseppe Marino. Cosa ha fatto di straordinario Marino? Nulla. Ha semplicemente chiesto informazioni sui suoi assistiti all’ambasciata dell’Afghanistan in Italia. Ed ecco che dai terminali è venuta fuori la loro storia. Sono laureati e oppositori del regime. Il primo perseguitato e minacciato di morte perchè, da componente dell’opposizione, si era schierato a difesa di un sito di valore storico e culturale, gli altri due perchè avevano collaborato con gli americani e infranto le regole dei talebali. Oppositori dunque, non criminali. Aventi diritto ad asilo politico. E invece appena sbarcati dalla “Koptan Ylker”, sono stati ammanettati assieme ad altri sette compagni di viaggio. Forse qualcuno di loro è uno scafista davvero, su altri il dubbio è più che legittimo. Due sono minorenni, e sono usciti dal carcere la scorsa settimana, altri cinque sono ancora detenuti. Per tutti, la procura della Repubblica di Reggio Calabria ha fatto richiesta di rinvio a giudizio. Solo dopo sapremo se tra di loro ci sono degli scafisti e quanti di loro lo siano, ma dieci, tutti su una sola barca, sembrano oggettivamente troppi. Senza dimenticare che anche a processo le parti si giocheranno le loro carte. Compreso le relazioni dell’ambasciata Afghana che li definisce dissidenti e non trafficanti di uomini.
In Italia ci sono arrivati i primi giorni di novembre dello scorso anno. All’epoca furono prima accolti e rifocillati nella struttura sportiva dello “Scatolone” accanto allo stadio della città dello Stretto, poi visionati i filmati la Guardia di Finanza si mosse con le denunce e gli arresti. La loro imbarcazione, era stata intercettata nella notte al largo di Capo d’Armi, sulle coste a nord di Reggio Calabria. La Guardia di finanza individuò quasi subito i presunti scafisti alla guida del peschereccio d’altura. Sull’imbarcazione quella notte c’erano 169 persone, tra cui 25 donne e 33 bambini. L’imbarcazione, battente bandiera greca, era stata avvistata già nel tardo pomeriggio a circa 140 miglia a sud-est di Capo Passero (Siracusa) e successivamente monitorata nel corso della navigazione. Una volta entrato in acque territoriali, il peschereccio era stato prima bloccato e poi condotto nel porto di Reggio Calabria. In seguito iniziarono le operazioni d’identificazione degli immigrati che riferirono di essere afghani e di essere partiti tre giorni prima dal porto di Istanbul. Dopo le prime cure gli interrogatori, la visione dei filmati girati dalla stessa Finanza, quindi gli arresti. Così per 250 giorni il professore A.R. e gli altri due finirono in carcere. Ora si trovano in un centro di accoglienza, stanno sbrigando le pratiche per ottenere l’asilo politico e nei prossimi giorni andranno al centro di Crotone, in attesa del documento. Il tutto mentre si attende anche la decisione del Gip, che dovrà valutare le posizioni di professori, minorenni, dissidenti e qualche scafista. Tutti sulla stessa barca, come in mezzo al Mediterraneo.

REGGIO CALABRIA – Il professor A.R., ha lasciato il carcere poche ore fa. Ha raccolto la sua roba, salutato i compagni di cella e le guardie. Poi è uscito, a respirare l’aria buona della libertà. Il professor A.R. ha 38 anni e due lauree. Una in Storia dell’antico Iran, l’altra Scienze agrarie. E’ afghano, e per 250 giorni è stato dietro le sbarre, accusato di essere uno scafista. Uno di quelli che fanno su e giù attraverso il Mediterraneo a trasportare migranti per mille euro a testa. Con lui, sempre da novembre scorso, erano in carcere anche il signor R.G. ed M.Z. di 22 e 33 anni. E sono usciti anche loro, per decisione del Tribunale della Libertà di Reggio Calabria, che ha preso atto delle carte depositate dal loro avvocato, Giuseppe Marino, in attesa di sapere se saranno processati. 

 

Cosa ha fatto di straordinario Marino? Nulla. Ha semplicemente chiesto informazioni sui suoi assistiti all’ambasciata dell’Afghanistan in Italia. Ed ecco che dai terminali è venuta fuori la loro storia. Sono laureati e oppositori del regime. Il primo perseguitato e minacciato di morte perchè, da componente dell’opposizione, si era schierato a difesa di un sito di valore storico e culturale, gli altri due perchè avevano collaborato con gli americani e infranto le regole dei talebani. Oppositori dunque, non criminali come erano stati ritenuti dopo essere sbarcati da un battello che portava 169 persone, tra cui 25 donne e 33 bambini.

 

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