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POTENZA – Per il Tribunale del riesame del capoluogo lucano le accuse di associazione a delinquere, evasione fiscale ed esercizio abusivo del gioco stanno in piedi eccome. Ma intanto i colleghi napoletani hanno fatto piazza pulita di quelle per gli affari – presunti – col clan dei Casalesi. Così anche Gino dopo Antonio Tancredi è tornato a casa e attenderà da lì l’inizio dei processi nei loro confronti.
Restano agli arresti domiciliari i re dei videopoker di Potenza, incappati agli inizi di luglio nell’inchiesta della procura partenopea su una serie di salette da gioco riconducibili al boss di Casal di Principe Nicola Schiavone, figlio del più noto Francesco detto Sandokan. Un’inchiesta eclatante a cui si è aggiunta quella condotta dalla procura potentina per cui lo scorso 17 luglio sono stati spiccate due ordinanze di arresti per loro e 7 di obblighi di dimora per alcuni dei loro collaboratori. 
Antonio e Gino Tancredi sono accusati di aver guidato una vera e propria organizzazione con vertici e comprimari che agivano su tutto il territorio imponendo il monopolio dei videopoker, delle scommesse online e delle slot machine elettroniche. Le indagini condotte dalla Squadra mobile di Potenza sono partite nel 2010 e si sono concentrate sui flussi di denaro legati alle società intestate agli indagati e al copioso giro di assegni “pesanti” incassati in diverse banche. A questo vanno aggiunte le perizie tecniche sulle macchine della società “New Slot srl”. Nessuna delle società riconducibili ai Tancredi, oltretutto, aveva le regolari autorizzazioni del Monopolio per la raccolta di giochi e scommesse. 
Ma a giocare un ruolo decisivo hanno avuto le intercettazioni, non solo quelle telefoniche e ambientali all’interno dei club e delle auto, ma anche quelle fatte tramite internet, soprattutto su Skype dove si scambiavano informazioni sensibili con una libertà che il telefono cellulare non dava.
Insomma la banda si era anche consolidata sul territorio utilizzando un metodo tipico. Il vertice, composto dai fratelli Tancredi, gestiva la cassa generale con un importo giornaliero mai al di sotto del milione di euro. Questi soldi finivano nei conti on-line dei “distretti” organizzati e gestiti da Giovanni Marinelli, Pasquale Pace, Davide Verducci e Marco Triumbari, che a loro volta passavano le somme frazionate ai vari club dove erano fisicamente posizionate le slot machines. 
Gli addetti alla ricarica, secondo gli inquirenti, erano Daniele Gruosso, Gianfranco Vaglio, Nicola Stigliano, Finizio Muller, Carmine Perillo, Luciano Pietrafesa e Andrea Ciuccio. In pratica la struttura piramidale prevedeva i capi, gli organizzatori della struttura e gli addetti alla ricarica dei club. In questi locali c’erano anche i pc, collegati alla piattaforma specifica con domini come “dollaropoker.com”, “dbgpoker.com” e “mondialpoker.com”, tutti quanti comprati e messi in uso su server americani, mentre la società stessa aveva sede legale in Romania. E in questi club i giocatori ricaricavano le loro schede, pagando cash all’addetto, per poi spendere ai tavoli virtuali. 
I proventi delle giocate, truccate in modo che soltanto uno su 7mila avrebbe potuto vincere qualcosa (nonostante la legge italiana dica che almeno il 75% degli incassi debbano essere tradotti in vincite), finivano divisi nell’organizzazione. Ai Tancredi andava il 40% dei guadagni, un 10% restava ai distretti e il restante 50% rimaneva nelle mani dei locali, per riutilizzarli soprattutto come liquidità. Il giro avrebbe mietuto non poche vittime, con persone che sono arrivate a spendere in pochi anni un milione di euro. Gli inquirenti ipotizzano un guadagno per i Tancredi che ha dell’impossibile: 150mila euro netti al giorno, roba da fare impallidire anche il più prezzolato dei giocatori di calcio. Ogni slot-machine fruttava al mese circa 10 mila euro, mentre un club incassava dai centomila euro ai 200 mila euro al giorno. Tutto rendeva tantissimo, fino a quattromila euro al mese. E nel 2008 Gino Tancredi avrebbe pensato di reinvestirne un milione e trecentomila in un’operazione immobiliare a Roma. 
A gennaio Gino Tancredi era stato già arrestato nell’ambito di un’inchiesta della antimafia di Bologna, ma a distanza di qualche mese accogliendo l’istanza presentata dai suoi legali il Tribunale emiliano lo aveva rimesso in libertà.
l.amato@luedi.it

POTENZA – Per il Tribunale del riesame del capoluogo lucano le accuse di associazione a delinquere, evasione fiscale ed esercizio abusivo del gioco stanno in piedi eccome. Ma intanto i colleghi napoletani hanno fatto piazza pulita di quelle per gli affari – presunti – col clan dei Casalesi. Così anche Gino dopo Antonio Tancredi è tornato a casa e attenderà da lì l’inizio dei processi nei loro confronti.

 

Restano agli arresti domiciliari i re dei videopoker di Potenza, incappati agli inizi di luglio nell’inchiesta della procura partenopea su una serie di salette da gioco riconducibili al boss di Casal di Principe Nicola Schiavone, figlio del più noto Francesco detto Sandokan. Un’inchiesta eclatante a cui si è aggiunta quella condotta dalla procura potentina per cui lo scorso 17 luglio sono stati spiccate due ordinanze di arresti per loro e 7 di obblighi di dimora per alcuni dei loro collaboratori. 

Antonio e Gino Tancredi sono accusati di aver guidato una vera e propria organizzazione con vertici e comprimari che agivano su tutto il territorio imponendo il monopolio dei videopoker, delle scommesse online e delle slot machine elettroniche. Le indagini condotte dalla Squadra mobile di Potenza sono partite nel 2010 e si sono concentrate sui flussi di denaro legati alle società intestate agli indagati e al copioso giro di assegni “pesanti” incassati in diverse banche. A questo vanno aggiunte le perizie tecniche sulle macchine della società “New Slot srl”. Nessuna delle società riconducibili ai Tancredi, oltretutto, aveva le regolari autorizzazioni del Monopolio per la raccolta di giochi e scommesse. 

Ma a giocare un ruolo decisivo hanno avuto le intercettazioni, non solo quelle telefoniche e ambientali all’interno dei club e delle auto, ma anche quelle fatte tramite internet, soprattutto su Skype dove si scambiavano informazioni sensibili con una libertà che il telefono cellulare non dava.Insomma la banda si era anche consolidata sul territorio utilizzando un metodo tipico. Il vertice, composto dai fratelli Tancredi, gestiva la cassa generale con un importo giornaliero mai al di sotto del milione di euro. 

Questi soldi finivano nei conti on-line dei “distretti” organizzati e gestiti da Giovanni Marinelli, Pasquale Pace, Davide Verducci e Marco Triumbari, che a loro volta passavano le somme frazionate ai vari club dove erano fisicamente posizionate le slot machines. Gli addetti alla ricarica, secondo gli inquirenti, erano Daniele Gruosso, Gianfranco Vaglio, Nicola Stigliano, Finizio Muller, Carmine Perillo, Luciano Pietrafesa e Andrea Ciuccio. In pratica la struttura piramidale prevedeva i capi, gli organizzatori della struttura e gli addetti alla ricarica dei club. In questi locali c’erano anche i pc, collegati alla piattaforma specifica con domini come “dollaropoker.com”, “dbgpoker.com” e “mondialpoker.com”, tutti quanti comprati e messi in uso su server americani, mentre la società stessa aveva sede legale in Romania. E in questi club i giocatori ricaricavano le loro schede, pagando cash all’addetto, per poi spendere ai tavoli virtuali. 

I proventi delle giocate, truccate in modo che soltanto uno su 7mila avrebbe potuto vincere qualcosa (nonostante la legge italiana dica che almeno il 75% degli incassi debbano essere tradotti in vincite), finivano divisi nell’organizzazione. Ai Tancredi andava il 40% dei guadagni, un 10% restava ai distretti e il restante 50% rimaneva nelle mani dei locali, per riutilizzarli soprattutto come liquidità. Il giro avrebbe mietuto non poche vittime, con persone che sono arrivate a spendere in pochi anni un milione di euro. 

Gli inquirenti ipotizzano un guadagno per i Tancredi che ha dell’impossibile: 150mila euro netti al giorno, roba da fare impallidire anche il più prezzolato dei giocatori di calcio. Ogni slot-machine fruttava al mese circa 10 mila euro, mentre un club incassava dai centomila euro ai 200 mila euro al giorno. Tutto rendeva tantissimo, fino a quattromila euro al mese. E nel 2008 Gino Tancredi avrebbe pensato di reinvestirne un milione e trecentomila in un’operazione immobiliare a Roma. A gennaio Gino Tancredi era stato già arrestato nell’ambito di un’inchiesta della antimafia di Bologna, ma a distanza di qualche mese accogliendo l’istanza presentata dai suoi legali il Tribunale emiliano lo aveva rimesso in libertà.

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