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POTENZA – L’appuntamento è il 16 a Roma nei laboratori della scientifica della Direzione Centrale Anticrimine della Polizia di Stato. Ma la difesa si oppone. Mentre l’inizio del processo per l’omicidio di via Parigi slitta ancora dopo la riapertura delle indagini e l’aggiunta delle accuse di minacce al teste chiave sugli affari tra Dorino Stefanutti e la vittima, Donato Abruzzese trucidato sotto casa a Potenza lo scorso 29 aprile.

Gli investigatori potrebbero procedere anche al prelievo con la forza di un campine di Dna del boxeur potentino in carcere con l’accusa di omicidio per la morte dell’amico imprenditore specializzato nella distribuzione delle macchinette da videpoker. E’ quanto si prospetta se la difesa di Stefanutti dovesse perseverare dopo la formale contestazione della convocazione arrivati nei giorni scorsi.

Sotto osservazione ci sono ancora le tre pistole ritrovate poco distanti dalla scena del delitto grazie alle indicazioni del superteste che ha ammesso di averle nascoste prima dell’arrivo dei soccorsi, dopo aver assistito a tutta la scena. Nei mesi scorsi infatti sono stati ultimati soltanto gli esami per evidenziare eventuali tracce di impronte digitali, che avrebbero dato esito negativo.

Stefanutti, il 54enne reo confesso dell’omicidio considerato lo storico braccio destro del boss Renato Martorano (in carcere a regime di 41bis per usura ed estorsione aggravate dal metodo mafioso) di fronte ai magistrati si è appellato alla scriminante della legittima difesa. La sua frequentazione con Abruzzese era un fatto noto ma nell’ultimo periodo, e soprattutto nei giorni che hanno preceduto l’omicidio diversi testimoni hanno raccontato che i rapporti tra i due si sarebbero raffreddati, anche se il perché non è ancora ben chiaro. Agli inquirenti Stefanutti, assistito dall’avvocato Rita Di Ciommo, ha detto di aver rifiutato di fare da padrino al figlio della vittima e di aver discusso con lui, poche ore prima della sparatoria, su chi dovesse offrire da bere all’altro in un noto ristorante di Potenza. Questioni da guappi, insomma, a cui però nessuno sembra dare credito: né gli agenti della sezione anticrimine della mobile guidati dal vicequestore Carlo Pagano, né il pm Francesco Basentini della direzione distrettuale antimafia, che ha chiesto e ottenuto il suo arresto, poi confermato dal Tribunale del riesame. Tant’è che di recente tra i capi di imputazione a carico del boxeur sono comparse anche le minacce alla collaboratrice di Abruzzese che ha svelato i loro affari in comune proprio nel settore delle macchinette.

Gli esami sulle armi potrebbero riverlarsi fondamentali per fugare i dubbi che ancora avvolgono la dinamica di quanto accaduto all’una del mattino del 29 aprile davanti al 12 di via Parigi, dove abitava Abruzzese. Gli investigatori contano infatti di trovare tracce di Dna o impronte digitali che dimostrino che Stefanutti sia arrivato sul posto con la Beretta calibro 9 con cui Abruzzese è stato ucciso, mentre lui racconta di averla presa al supertestimone, un amico della vittima, soltanto dopo essere stato ferito a una gamba. Per questo gli esperti della polizia scientifica guarderanno con attenzione anche all’interno della pistola dato che il reale proprietario dell’arma, con la matricola illegibile, potrebbe aver lasciato tracce lì, per esempio sul caricatore, oltre che sui bossoli seminati per terra.

l.amato@luedi.it

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