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METAPONTO – Da Bernalda in poi, arrivando da Potenza le cose si manifestano con crudezza. Le lame di fango sulla strada, i cumuli ai bordi, il colore dei campi resi un pantano. La destinazione è Metaponto, quel lembo di terra che racconta una storia millenaria. Come l’alleata Sibari, la città è ancora coperta d’acqua. Inutile dire che non è soltanto colpa della pioggia copiosa caduta nei giorni scorsi. La città che la leggenda vuole fondata da Nestore, eroe di ritorno dalla guerra di Troia, è solo un lago di fango. Le nuvole portano ancora pioggia, ma lo spazio melmoso è placido. Intorno alle rovine ci sono due grossi vigneti, si vede che la furia dell’acqua non ha risparmiato nulla. C’è solo il fango da queste parti a ricordare che tra Sibari, dove il fiume esondò per colpa di un aranceto costruito sui bordi dell’argine e Metaponto, dove la foce del fiume è letteralmente caduta per la forza dell’acqua, rispendendo indietro tutto quello che aveva nella sua pancia, non c’è nessuna differenza. 

Questa è incuria, disattenzione, abbandono, menefreghismo. Tutto. Il risultato è fango appiccicoso sull’anfiteatro, sui templi freschi di restauro, le vecchie colonne erose dall’acqua, le mura strozzate dalla terra. È un disastro, il terzo in cinque anni, che mette in ginocchio ancora una volta la storia di un popolo e il simbolo di un terra. Dall’acqua spuntano solo quegli edifici più alti. L’intera zona è stata transennata, i percorsi sono scomparsi, si vedono solo gli accessi all’area che sembrano degli scivoli d’acqua, un acqua park triste e decadente in questo grigiore autunnale. Lungo i bordi sono al lavoro le idrovore del Consorzio di Bonifica e dei Vigili del Fuoco, almeno sette. Dall’inondazione a ieri hanno levato via circa un metro d’acqua e infatti cominciano a vedersi i primi pezzi di storia. Nell’area dell’Agorà c’è ancora parecchio da fare. Il santuario è un lungo tappeto di fango e detriti, mentre l’anfiteatro ancora è strapieno d’acqua. Al di sotto si è creato uno spesso strato di melma che dovrà essere rimossa il prima possibile. I templi invece sono quasi del tutto sommersi, spuntano soltanto i colonnati nei punti più alti. 

Il resto è un enorme cratere coperto dove l’acqua sta cominciando a ritirarsi. Dei plastici rappresentati sui cartelli, si distingue ben poco. I millenni hanno seppellito i culti di Apollo Licio, Hera, Artemis e Atena, ora adesso la mano umana ne distrugge la memoria.  All’ingresso seguiamo il sentiero che costeggia a destra l’area e a sinistra un campo pianeggiante, l’intero sentiero è marchiato dai detriti. Lo stesso vale per lo spiazzo, l’area parcheggio davanti le strutture di accoglienza. Qui il fango è spesso ma non accenna ad indurire. Perché il problema principale è questo, l’indurimento. Bisogna evitarlo, ché significherebbe ricominciare gli scavi da zero. Sul posto ci sono le squadre dei Vigili e quelle del Consorzio. 

A controllare le operazioni c’è anche Antonio De Siena, soprintendente ai beni archeologici della Basilicata. È lui che ci racconta come stanno andando le operazioni. Entro lunedì, se tutto va bene, l’intera zona sarà libera dall’acqua, poi si passerà alla fase due, liberare dal fango prima ancora che tutto si indurisca. Ed è la terza volta in cinque anni, segno che qualcosa deve essere cambiato nella morfologia dei terreni circostanti. E De Siena questa cosa cerca di farla capire: «Dal 1959 fino a 5 anni fa qui non è mai successo nulla di rilevante, in cinque anni siamo a quota tre inondazioni. C’è qualcosa che non quadra». 

I metri d’acqua comunque sono ancora tanti, bisognerà lavorare senza fermarsi. Le previsioni sul lunedì sembrano un po’ ottimistiche. Intorno le 13 fa la sua comparsa anche Mario Cerverizzo, direttore del dipartimento infrastrutture della Regione. Si discute per pochissimi minuti su come agire per rimuovere il fango, che sicuramente dovrà essere portato in discarica. La soprintendenza dovrà fornire le planimetrie, solo dopo si potrà partire per una gara e capire a quanto ammonta la spesa. Per ora tutto resta in una nube di parole e pianificazione, ma è già qualcosa, visto il silenzio assordante della politica dimissionaria, rinchiusa nei bunker delle segreterie alla ricerca della verità elettorale. E Metaponto intanto affoga così come il materano, con le sue vittime da piangere. 

v.panettieri@luedi.it

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