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CATANZARO – I Casalesi gestivano il traffico illegale dei rifiuti in Campania, arrivando fino nel Lazio, ma “tutti i clan, tutte le associazioni criminali erano interessate”. Parola di Carmine Schiavone, collaboratore di giustizia campano, cugino di Francesco “Sandokan” Schiavone. E’ stato lui a raccontare sedici anni fa tutti i retroscena dei rifiuti speciali e non sepolti in Campania, ricostruendo però anche i legami con le altre mafie e gli interessi diffusi. E nelle dichiarazioni di Schiavone c’è tanta Calabria. Oggi quelle dichiarazioni sono state rese pubbliche. Il presidente della Camera Laura Boldrini e la presidente della Commissione Ambiente Marina Sereni, hanno deciso di togliere il segreto di Stato posto sull’audizione del boss campano davanti alla Commissione parlamentare d’inchiesta sul ciclo dei rifiuti e sulle attività illecite ad esso contenute. Era il 7 ottobre 1997, quando Carmine Schiavone rispose su ogni cosa alla Commissione. E il quadro complessivo fu drammatico. Fusti e rifiuti speciali di ogni genere seppelliti ovunque in Campania: “Entro venti anni gli abitanti di numerosi comuni del Casertano rischiano di morire tutti di cancro”. La sentenza del boss pentito fu netta sin da subito. Ed anche la situazione della Calabria fu delineata senza esitazione: “Anche in Calabria – aveva affermato il pentito – era lo stesso, non è che lì rifiutassero i soldi. Che poteva importargli, a loro, se la gente moriva o non moriva?”.  


“STAVAMO BENE CON LA CALABRIA” – Ed è in questo scenario che si inserisce la ‘ndrangheta. Pronta a fare affari in un settore con un ritorno economico spaventoso. Anche a costo di uccidere i propri figli con il cancro. Le domande della Commissione parlamentare finiscono sui rapporti con le altre organizzazioni criminali e sugli affari comuni, e Schiavone è netto: “Stavamo bene con la Calabria, in particolare con qualche gruppo calabrese, quelli contrari ai De Stefano. Eravamo contro De Stefano – spiega Schiavone – perché era stato l’istigatore di Raffaele Cutolo, lo aveva punto nel manicomio di Napoli a Sant’Efemo e gli aveva messo in testa strane idee”. 

GLI AFFARI MILIARDARI – Alleanze trasversali, dunque, che nel corso dell’audizione vennero approfondite anche rispetto alla possibilità che altre organizzazioni criminali potessero avere messo in piedi il business dei rifiuti. E Schiavone non ha dubbi: “Tutti i clan, tutte le associazioni criminali erano interessate, perché si trattava di decine di miliardi all’anno nel libro mastro. In più c’era chi gestiva questa attività ed aveva il suo tornaconto personale di nascosto dal clan”. 
QUELLA NAVE AFFONDATA – Decine e decine di pagine, desecretate dopo sedici anni, ricostruiscono i rapporti e i ruoli. E prendono in esame anche fatti e circostanze note da tempo. Come l’incubo delle navi cariche di rifiuti speciali fatte affondare nel Mediterraneo. E Schiavone, davanti alla domanda specifica, conferma: “So che c’erano navi e che qualcuna è stata affondata nel Mediterraneo, però sono ricordi sbiaditi. Ricordo che una volta – aggiunse il pentito campano – si parlò di una nave che portava rifiuti speciali e tossici, scorie nucleari, che venne affondata sulle coste tra la Calabria e la Campania”. 
Una conferma, dunque, alle tesi di quelle navi della morte colate a picco anche davanti le coste calabresi, per le quali non sono mai stati trovati riscontri concreti, ma che lasciano dubbi e preoccupazioni immense. D’altronde, il resoconto di Schiavone è più che allarmante. In mezzo alle falde acquifere si troverebbero fusti e scorie di ogni genere. Seppellite in nome di guadagni facili. Di montagne di denaro tanto alte, quanti i cumuli di terra usati per seppellire rifiuti speciali fino a trenta metri di profondità.
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