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di ANTONIO CORRADO
LA SITUAZIONE delle palazzine di vico Piave era una polveriera molto tempo prima del crollo, sia sotto il profilo tecnico, che sotto quello burocratico. 
A disastro compiuto, sembra evidente la sussistenza di due ordini di responsabilità, che oggi solo la magistratura dovrà accertare. Inanzitutto sulle cause del crollo, ovvero chi o cosa, come e perchè abbia determinato quelle fessurazioni così vistose nella parete portante, che ha ceduto inesorabilmente.
Poi c’è la responsabilità di chi avrebbe dovuto prevenire il disastro, o almeno impedirne le conseguenze sulle vite umane, chiedendo e disponendo lo sgombero immediato delle tre palazzine interessate dall’evidente fenomeno di dissesto, accentuato probabilmente, come del resto certifica il verbale dei Vigili del fuoco, dall’alluvione del primo dicembre. Risulta, infatti, che nel cortile sulla parte retrostante la palazzina crollata si sia accumulata una notevole quantità di acqua piovana, la quale avrebbe progressivamente insidiato le fondamenta argillose, per poi affiorare insinuandosi nelle fessure strutturali già presenti, dopo aver inzuppato e indebolito il basamento tufaceo. Questa diagnosi emerge molto chiaramente dal carteggio tecnico intercorso durante i sopralluoghi degli organismi istituzionali. 
Allora, ci chiediamo girando la domanda a chi di competenza: perchè non sgomberare in via precauzionale quelle palazzine (un detto recita che la prudenza non è mai troppa) già dopo il 15 dicembre, o almeno dopo la lunga e dettagliata relazione dell’Ufficio tecnico comunale del 23 dicembre 2013?
Da quest’ultimo documento, infatti, si evince altresì che il muro portante crollato aveva uno spessore di soli 50 centimetri, quindi notevolmente sottodimensionato rispetto al carico verticale da sostenere, con due piani in più rispetto al fabbricato originario. Probabili misteri dei condoni all’italiana, effettuati solo sulla carta senza preventivi accertamenti tecnici di fattibilità. Ma questa è un’altra storia. Nei giorni scorsi alla domanda sul mancato sgombero preventivo, ci è stato risposto che, pur essendo in presenza di una situazione critica, non esisteva all’epoca un pericolo imminente per l’incolumità pubblica.
In che misura questa diagnosi, smentita dalla realtà brutale del crollo, configuri delle responsabilità oggettive, lo dovrà accertare la Procura nel corso delle indagini. Eppure, nei giorni successivi al sopralluogo del 15 dicembre, un’intera famiglia originaria di Mesagne, si era trasferita da parenti, come pure un gruppo di studenti calabresi, che hanno preferito anticipare le vacanze natalizie. Una sorta di auto-sgombero salvavita.
In attesa di conoscere i nomi di eventuali indagati nell’inchiesta per disastro e omicidio colposo ancora contro ignoti, il Quotidiano ha cercato di ricostruire i contorni della vicenda autorizzativa del cantiere per la realizzazione di un ristorante con galleria di arte moderna, che sarebbe dovuto sorgere ai piani terra della palazzina crollata e di quella attigua rimasta in piedi. Ieri il Comune di Matera ha formalmente ribadito che l’iter autorizzativo dei lavori era stato fermato già ad agosto, per lacune nella documentazione relative al mancato nulla osta dei condomini, all’assenza di una certificazione dell’Azienda sanitaria materana, trattandosi di un locale da adibire a ristorazione, ed al mancato deposito dei calcoli di opere strutturali oltre che del  “Patto di riservato dominio”, ovvero il documento da cui si evince la presa in gestione dei locali dal proprietario.
Quindi, se si è proseguito con i lavori in presenza di uno stop del  Comune, lo si è fatto in maniera non autorizzata. Risulta al Quotidiano che il nulla osta dei condomini ai lavori sia stato regolarmente rilasciato il 17 settembre 2013, firmato da 836/millesimi, mentre la certificazione dell’Asm risalirebbe ai primi di ottobre, come pure il deposito dei calcoli. Ma la sospensione imposta dal Comune, è stata ribadita ancora il 9 dicembre 2013.
Elementi che sono già al vaglio degli inquirenti, i quali avrebbero acquisito in municipio l’intero carteggio con la proprietà del futuro ristorante. Anche questa vicenda dovrà essere chiarita in tutti i suoi contorni, per non alimentare ulteriormente il clima da caccia alle streghe, scaturito dall’onda emozionale di una tragedia che ha toccato il cuore e la pancia di tutti i materani. Probabilmente proprio per sottrarsi all’attenzione morbosa della rete, ieri Nicola Andrisani, il committente dei lavori in vico Piave, ha ritenuto opportuno cancellare il suo profilo Facebook, attraverso il quale nei giorni scorsi il Quotidiano aveva raccolto la sua versione dei fatti. 
a.corrado@luedi.it

MATERA – La situazione delle palazzine di vico Piave era una polveriera molto tempo prima del crollo, sia sotto il profilo tecnico, che sotto quello burocratico. A disastro compiuto, sembra evidente la sussistenza di due ordini di responsabilità, che oggi solo la magistratura dovrà accertare. 

 

Inanzitutto sulle cause del crollo, ovvero chi o cosa, come e perchè abbia determinato quelle fessurazioni così vistose nella parete portante, che ha ceduto inesorabilmente.

Poi c’è la responsabilità di chi avrebbe dovuto prevenire il disastro, o almeno impedirne le conseguenze sulle vite umane, chiedendo e disponendo lo sgombero immediato delle tre palazzine interessate dall’evidente fenomeno di dissesto, accentuato probabilmente, come del resto certifica il verbale dei Vigili del fuoco, dall’alluvione del primo dicembre. Risulta, infatti, che nel cortile sulla parte retrostante la palazzina crollata si sia accumulata una notevole quantità di acqua piovana, la quale avrebbe progressivamente insidiato le fondamenta argillose, per poi affiorare insinuandosi nelle fessure strutturali già presenti, dopo aver inzuppato e indebolito il basamento tufaceo. Questa diagnosi emerge molto chiaramente dal carteggio tecnico intercorso durante i sopralluoghi degli organismi istituzionali. 

Allora, ci chiediamo girando la domanda a chi di competenza: perchè non sgomberare in via precauzionale quelle palazzine (un detto recita che la prudenza non è mai troppa) già dopo il 15 dicembre, o almeno dopo la lunga e dettagliata relazione dell’Ufficio tecnico comunale del 23 dicembre 2013?Da quest’ultimo documento, infatti, si evince altresì che il muro portante crollato aveva uno spessore di soli 50 centimetri, quindi notevolmente sottodimensionato rispetto al carico verticale da sostenere, con due piani in più rispetto al fabbricato originario. 

Probabili misteri dei condoni all’italiana, effettuati solo sulla carta senza preventivi accertamenti tecnici di fattibilità. Ma questa è un’altra storia. 

Nei giorni scorsi alla domanda sul mancato sgombero preventivo, ci è stato risposto che, pur essendo in presenza di una situazione critica, non esisteva all’epoca un pericolo imminente per l’incolumità pubblica.In che misura questa diagnosi, smentita dalla realtà brutale del crollo, configuri delle responsabilità oggettive, lo dovrà accertare la Procura nel corso delle indagini. 

Eppure, nei giorni successivi al sopralluogo del 15 dicembre, un’intera famiglia originaria di Mesagne, si era trasferita da parenti, come pure un gruppo di studenti calabresi, che hanno preferito anticipare le vacanze natalizie. 

Una sorta di auto-sgombero salvavita.In attesa di conoscere i nomi di eventuali indagati nell’inchiesta per disastro e omicidio colposo ancora contro ignoti, il Quotidiano ha cercato di ricostruire i contorni della vicenda autorizzativa del cantiere per la realizzazione di un ristorante con galleria di arte moderna, che sarebbe dovuto sorgere ai piani terra della palazzina crollata e di quella attigua rimasta in piedi.

 Ieri il Comune di Matera ha formalmente ribadito che l’iter autorizzativo dei lavori era stato fermato già ad agosto, per lacune nella documentazione relative al mancato nulla osta dei condomini, all’assenza di una certificazione dell’Azienda sanitaria materana, trattandosi di un locale da adibire a ristorazione, ed al mancato deposito dei calcoli di opere strutturali oltre che del  “Patto di riservato dominio”, ovvero il documento da cui si evince la presa in gestione dei locali dal proprietario.

Quindi, se si è proseguito con i lavori in presenza di uno stop del  Comune, lo si è fatto in maniera non autorizzata. 

Risulta al Quotidiano che il nulla osta dei condomini ai lavori sia stato regolarmente rilasciato il 17 settembre 2013, firmato da 836/millesimi, mentre la certificazione dell’Asm risalirebbe ai primi di ottobre, come pure il deposito dei calcoli. 

Ma la sospensione imposta dal Comune, è stata ribadita ancora il 9 dicembre 2013.Elementi che sono già al vaglio degli inquirenti, i quali avrebbero acquisito in municipio l’intero carteggio con la proprietà del futuro ristorante. Anche questa vicenda dovrà essere chiarita in tutti i suoi contorni, per non alimentare ulteriormente il clima da caccia alle streghe, scaturito dall’onda emozionale di una tragedia che ha toccato il cuore e la pancia di tutti i materani. 

Probabilmente proprio per sottrarsi all’attenzione morbosa della rete, ieri Nicola Andrisani, il committente dei lavori in vico Piave, ha ritenuto opportuno cancellare il suo profilo Facebook, attraverso il quale nei giorni scorsi il Quotidiano aveva raccolto la sua versione dei fatti. 

a.corrado@luedi.it

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