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COSENZA – La Direzione Investigativa Antimafia di Catanzaro ha sequestrato beni per un valore di 100 milioni di euro riconducibile all’imprenditore cosentino Pietro Citrigno, 62 anni, condannato in via definitiva per usura, e dei suoi familiari. Tra i beni sequestrati ci sono anche le due cliniche Adelchi e Villa Gioiosa – la prima a Longobardi sulla fascia tirrenica cosentina e una a Montalto Uffugo – oltre a beni mobili e immobili.
Citrigno, è personaggio molto noto ed è tra l’altro, come ricorda la Dia nella sua nota ufficiale, l’editore del quotidiano L’Ora della Calabria. Il provvedimento nei suoi confronti è stato emesso dal Tribunale di Cosenza, su proposta del direttore della Dia, a seguito di complessi accertamenti patrimoniali effettuati dagli uomini della Sezione Operativa di Catanzaro ed è correlato alla condanna per usura.

L’accusa contro Citrigno era stata formulata nell’ambito del processo Twister (LEGGI I DETTAGLI). In primo grado, i giudici di Cosenza inflissero 3 anni e 10 mesi all’imprenditore. La corte d’Appello di Catanzaro, malgrado la richiesta di assoluzione da parte del pg Eugenio Facciolla per l’intervenuta prescrizione del reato, rincarò la dose riconoscendogli la continuazione del reato in merito ad altri due episodi, che in primo grado avevano conosciuto la prescrizione. La condanna fu a 4 anni e 8 mesi, divenuti definitivi nel 2011 dopo la decisione della Cassazione di respingere il ricorso dei difensori. L’imprenditore fu anche condannato a risarcire in separata sede due sue presunte vittime di usura.
DAL SISTEMA USURAIO ALLA CRIMINALITA’ – “Un consolidato ed allargato sistema di usura posto in essere già dagli anni Settanta”, ma anche “la contiguità ad alcuni esponenti di spicco delle consorterie criminose operanti nel territorio cosentino”. Sono queste la basi su cui si poggia l’operazione della Dia di Catanzaro che ha portato al sequestro di beni nei confronti di Citrigno. L’inchiesta è stata illustrata dal capo della Dia catanzarese, Antonio Turi, il quale ha ricordato come tutto sia scaturito dall’operazione “Twister”, per la quale Citrigno è stato condannato in via definitiva a quattro anni ed otto mesi di reclusione per il reato di usura aggravata.
Secondo lo sviluppo delle indagini, Citrigno è ritenuto “un soggetto equidistante da entrambi i clan di spicco operanti nel territorio cosentino, che aveva bisogno di protezione a livello delinquenziale, al fine di tutelare le proprie attività imprenditoriali”.
Il capo della Dia di Catanzaro ha spiegato che “le inquietanti ombre rilevate sull’origine del cospicuo patrimonio ascrivibile a Pietro Citrigno, insieme alla pendenza presso il Tribunale di Paola di un procedimento penale per estorsione, hanno indotto gli investigatori della Direzione Investigativa Antimafia di Catanzaro a ritenere queste condizioni come seri indizi da cui desumere che l’imprenditore avesse condotto un tenore di vita superiore alle proprie possibilità economiche. La Dia, ha evidenziato Turi, ha eseguito puntuali e rigorosi accertamenti che hanno riguardato, per un arco temporale compreso tra il 1988 ed il 2011, tutti i cespiti in qualunque modo riconducibili a Citrigno, l’analisi dei bilanci aziendali, copiosa documentazione bancaria, allo scopo di documentare la sproporzione del loro valore rispetto al reddito dichiarato ai fini delle imposte dirette o alle attività economiche esercitate o, in alternativa, di appurarne l’illecita provenienza”.
REDDITI INSUFFICIENTI E TRAME SOCIETARIE –  A rendere complicato il lavoro degli investigatori, ha spiegato ancora Turi, il fatto che “alcuni immobili, in precedenza di proprietà dei familiari del Citrigno, siano stati successivamente alienati a società pur sempre riconducibili al nucleo familiare dello stesso, e ciò nell’ambito di una fitta trama di partecipazioni societarie chiaramente finalizzate ad evitare la riconducibilità di tali beni proprio al Citrigno”.
I giudici hanno quindi spiegato che i familiari di Citrigno “hanno sempre dichiarato, almeno fino al 2005, redditi non elevati; tuttavia essi sono risultati possessori di beni immobili ed aziende di valore oltremodo rilevante e cospicuo”. Il Tribunale della Prevenzione ha concluso che “mai dal 1981 al 2005 il nucleo familiare Citrigno ha prodotto lecitamente un reddito pari o prossimo al valore dei beni entrati nel suo patrimonio”.
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