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CIRO’ –  Si apre la corsa per la successione alla reggenza del “locale” di ‘ndrangheta di Cirò. La fine della latitanza del boss 66enne Silvio Farao, l’unico, almeno fino all’altra notte, non in carcere tra i capi di  un’organizzazione criminale che, stando a numerosi dati processuali, ha un’influenza su un vasto territorio che comprende non solo la provincia di Crotone ma anche l’Alto Jonio cosentino, e con proiezioni nel Varesotto, rimette in discussione gli equilibri interni. E contribuisce a ridisegnare la geografia mafiosa di tutto il Crotonese e non solo. Gli inquirenti che hanno “pizzicato” il latitante in fuga dal novembre 2008 e, fino all’altra notte, irreperibile destinatario di una condanna all’ergastolo per l’omicidio di Mario Mirabile commesso a Corigliano nell’agosto ’90 e divenuta definitiva nel giugno 2009, sono certi che l’unico in grado di contendere la leadership criminale nel Crotonese al clan Farao Marincola poteva essere fino a qualche tempo fa il boss di Cutro Nicolino Grande Aracri che, stando a quanto rivelano i pentiti e ai dossier della Dna, voleva fondare una nuova provincia di ‘ndrangheta. Ma Grande Aracri  è tornato in carcere nel marzo scorso per estorsioni, poi gli hanno notificato una condanna a 14 anni nell’ambito del processo Tramontana e sul finire dell’ottobre scorso è stato destinatario di una nuova ordinanza con cui gli contestano anche omicidi. Cirò e Cutro, insomma, centri che detengono il potere mafioso nel Crotonese, sono, almeno apparentemente, azzerati dal punto di vista criminale, mentre la “montagna”, ovvero il Petilino, nonostante l’operazione Filottete condotta grazie anche alle rivelazioni della testimone di giustizia Lea Garofalo, resta un’incognita.
Intanto, dopo l’arresto della coppia di Cariati per favoreggiamento, le indagini proseguono per individuare la rete, che si presume fitta, di fiancheggiatori che hanno aiutato il boss la cui fuga è finita, dopo oltre cinque anni, nel covo al confine tra le province di Crotone e Cosenza. Tutti molto attenti a non comunicare tra loro telefonicamente, a cambiare continuamente le auto per depistare gli inquirenti, a non frequentarsi. Circostanze che hanno complicato enormemente il lavoro dei carabinieri del Reparto operativo di Crotone. Il latitante, però, secondo gli inquirenti, veniva tenuto apparentemente in disparte nella gestione della consorteria per favorirne l’irreperibilità ma i carabinieri ritengono che a dettare ordini fosse lui, anche se i veri capi carismatici del “locale” di ‘ndrangheta sono considerati il fratello Peppe e Cataldo Marincola, entrambi detenuti.
Ma c’è anche un altro aspetto. Forse a Silvio Farao la latitanza, all’età di 66 anni e con l’arrivo degli acciacchi, cominciava a pesare. Pare che se ne stesse tutto il giorno rintanato, forse da un paio di mesi, nella villetta rurale immersa nella località Vascellero. E’ stata dura anche non poter andare ai funerali della sorella Teresa, morta la scorsa settimana, o incontrare i propri cari dopo mille sotterfugi. E adesso punta a scontare almeno parte della pena fuori dal carcere.

CIRO’ (KR) –  Si apre la corsa per la successione alla reggenza del “locale” di ‘ndrangheta di Cirò. La fine della latitanza del boss 66enne Silvio Farao rimette in discussione gli equilibri interni. E contribuisce a ridisegnare la geografia mafiosa di tutto il Crotonese e non solo. Farao era l’unico non in carcere tra i capi di  un’organizzazione criminale che, stando a numerosi dati processuali, ha un’influenza su un vasto territorio che comprende non solo la provincia di Crotone ma anche l’Alto Jonio cosentino, e con proiezioni nel Varesotto,

Il latitante era in fuga dal novembre 2008 e, fino all’altra notte, irreperibile destinatario di una condanna all’ergastolo per l’omicidio di Mario Mirabile commesso a Corigliano nell’agosto ’90, divenuta definitiva nel giugno 2009. Gli inquirenti che lo hanno catturato sono certi che l’unico in grado di contendere la leadership criminale nel Crotonese al clan Farao-Marincola poteva essere fino a qualche tempo fa il boss di Cutro Nicolino Grande Aracri che, stando a quanto rivelano i pentiti e ai dossier della Dna, voleva fondare una nuova provincia di ‘ndrangheta. Ma Grande Aracri  è tornato in carcere nel marzo scorso per estorsioni, poi gli hanno notificato una condanna a 14 anni nell’ambito del processo Tramontana e sul finire dell’ottobre scorso è stato destinatario di una nuova ordinanza con cui gli contestano anche omicidi. 

Cirò e Cutro, insomma, centri che detengono il potere mafioso nel Crotonese, sono, almeno apparentemente, azzerati dal punto di vista criminale, mentre la “montagna”, ovvero il Petilino, nonostante l’operazione Filottete condotta grazie anche alle rivelazioni della testimone di giustizia Lea Garofalo, resta un’incognita. 

Intanto, dopo l’arresto della coppia di Cariati per favoreggiamento, le indagini proseguono per individuare la rete, che si presume fitta, di fiancheggiatori che hanno aiutato il boss la cui fuga è finita, dopo oltre cinque anni, nel covo al confine tra le province di Crotone e Cosenza. Tutti molto attenti a non comunicare tra loro telefonicamente, a cambiare continuamente le auto per depistare gli inquirenti, a non frequentarsi. 

Circostanze che hanno complicato enormemente il lavoro dei carabinieri del Reparto operativo di Crotone. Il latitante, però, secondo gli inquirenti, veniva tenuto apparentemente in disparte nella gestione della consorteria per favorirne l’irreperibilità ma i carabinieri ritengono che a dettare ordini fosse lui, anche se i veri capi carismatici del “locale” di ‘ndrangheta sono considerati il fratello Peppe e Cataldo Marincola, entrambi detenuti. Ma c’è anche un altro aspetto. Forse a Silvio Farao la latitanza, all’età di 66 anni e con l’arrivo degli acciacchi, cominciava a pesare. Pare che se ne stesse tutto il giorno rintanato, forse da un paio di mesi, nella villetta rurale immersa nella località Vascellero. E’ stata dura anche non poter andare ai funerali della sorella Teresa, morta la scorsa settimana, o incontrare i propri cari dopo mille sotterfugi. E adesso punta a scontare almeno parte della pena fuori dal carcere.

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