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Come Arisa, voglio essere anch’io “Controvento”.  Non m’importa di  passare per out, passatista, fuori moda, ma a me il Festival di Sanremo mi piace. A prescindere. Poco importa se a presentarlo c’è Fazio o l’eterno Baudo, se le vallette sono capaci o no di pronunciare almeno una frase di senso compiuto, se le canzoni sono belle o brutte.  Io di Sanremo non riesco a perdermene neanche uno. Sarà perché in fondo non ho mai rinunciato ad essere bambina, ma questo rutilante carrozzone io lo adoro.  

Vuoi  mettere il piacere di starsene comodamente a casa, con il pigiamone di flanella e le pantofole di nonna Papera,  in attesa dell’imprevisto, della gaffe del conduttore o della stecca del cantante famoso?  E la goduria di potersi ergere a giudice inflessibile di tutto e di tutti, sparlare allegramente degli abiti, delle pettinature, della scenografia, dei fiori che non ci sono o sono troppo pochi? 

Se poi, come in questa edizione,  sul palco dell’Ariston, tra una canzone e l’altra, c’è posto per  un balletto della mitica Raffa, una coreografia delle inossidabili Kessler  e un paio di tocchi di manzo come il nostrano Santamaria e  il tartarugatissimo Armin Zoeggler, il Festival  è meglio del Luna park.  E io, in barba allo snobismo di facciata, a farmici un giro proprio non ci rinuncio. 

Che in Italia già stiamo inguaiati, se ci togliete pure le canzonette è davvero la fine!

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