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Il tam tam su fb e twitter, partito proprio dalla docente, ha creato una vera e propria intimidazione verso la giornalista, a cui favore ha scritto il direttore Lucia Serino, nella nostra edizione di ieri. Pubblichiamo l’intervento di Anna Rivelli che riteniamo utile per rasserenare gli animi, potendo consentire a tutti di fare il proprio mestiere in assoluta tranquillità. Nel frattempo, nella giornata di ieri, il presidente del Consiglio regionale, Piero Lacorazza ha tenuto alcuni incontri in diversi comuni della Val d’Agri, dove ha ribadito: «La trasparenza non è un optional, e non va chiesta solo alle istituzioni. E’ necessario rendere pubblici nel più breve tempo possibile i profili professionali che saranno impegnati nel breve e nel lungo periodo nelle attività petrolifere».

Cara Lucia,

dopo aver letto sul giornale di sabato il tuo intervento a difesa di Angela Pepe (alla quale, per quello che può contare, vorrei far giungere la mia piena solidarietà) ho percepito drammaticamente quello che davvero, al di là dei singoli episodi, sta accadendo in questa regione e ne sono rimasta tristemente costernata.Conosco la Professoressa Colella come persona competente e appassionata e nel contempo so quanto, e soprattutto con quante e quali difficoltà, il Quotidiano si spenda per fornire ogni giorno un’ampia e corretta informazione; il corto circuito che si è determinato negli ultimi giorni mi sembra pertanto un riflesso della complessa metamorfosi che la nostra società sta subendo nel tentativo di difendersi da quel malefico innesto  politico-affaristico-giudiziario che in Basilicata sta producendo frutti sempre più abbondanti e sempre più velenosi. L’altra sera, scherzando con gli amici di Hyperbros, tweettavo che ormai per avere notizie rasserenanti non ci resta che guardare “Chi l’ha visto?” e “Amore criminale”; voleva essere un paradosso, ma alla fine forse non lo è, perché a sfogliare le pagine dei giornali ( e dico proprio, se non soprattutto, del tuo giornale) non possiamo non accorgerci che al degrado ambientale e paesaggistico della nostra terra corrisponde, maggiorato almeno al 200 o 300%, un degrado morale che, se fino a qualche tempo fa ha lasciato i più sostanzialmente distratti e indifferenti, oggi, dopo essere passato al vaglio di una necessaria e accresciuta consapevolezza,  sta eccitando nella gente come un grado di ferinità  che finisce per coinvolgere nell’attitudine all’offesa anche quelli che, in realtà, si sono forse armati soltanto per difendersi. Credo che ciò dipenda dal senso tremendo di impotenza che stiamo avvertendo di fronte agli annunci inconsistenti e alle rivoluzioni farlocche che continuano a sbeffeggiare qualsiasi resistenza e ogni tentativo dei cittadini di riappropriarsi delle proprie prerogative democratiche; ci stiamo così alienando il diritto ad un’onesta e consapevole equidistanza (da non confondersi con un’apatica e comoda netraulità) e siamo spinti inconsciamente a catalogare gli altri in sole due categorie, quella degli alleati e quella dei nemici, incapaci alla fine di individuare le infinite gradazioni e sfumature che esistono, per fortuna, tra l’una e l’altra. È questo l’effetto che crea il profondo abisso (che tuttavia non inghiotte ma amplifica la spudoratezza delle parole dei vari e multiformi Moretti) che separa la stentata sopravvivenza di tanti lucani dalla tronfia e opulenta tracotanza di pochi; è questo l’istinto che viene aizzato da quel vortice di nomi illustri sempre legato a notizie di reati o di sopraffazioni o di  ruberie che vengono perpetrati a danno della comunità tutta e che spesso restano impuniti o almeno indefiniti perché prescritti, o dimenticati a suon di intimidazioni e querele nei confronti di chi (i giornalisti!) li denunciano. Come può la Basilicata non fare più caso alle circostanziate denunce del Procuratore Oricchio o, peggio, alla “sensazione concreta  – sottoscritta tra gli altri da Felice Casson- che nella città di Matera non esista o sia stata abrogata ogni forma di tutela penale della salute dei lavoratori”?

Insomma, questa specie di odio crescente che contrappone per bizantini malintesi parti che potrebbero essere alleate, è il frutto più amaro di questa nostra tanto deprecabile stagione; ma attenzione: è frutto solo apparentemente spontaneo, in realtà invece coltivato in serra da chi conosce l’effetto paralizzante di certi veleni.

 Perciò Lucia, in una forse insolita veste da paciere, dalle pagine del tuo giornale vorrei appellarmi a tutti i miei concittadini, a tutti i Lucani, perché non si cada nella trappola della divisione e non si segnino con la barriera del sospetto confini che potrebbero piuttosto essere ponti. E vorrei dire a quanti ci governano ai livelli più vari e se ne stanno, a torto o a ragione, serenamente adagiati nella loro posizione di conquistato privilegio, nel loro meritato o immeritato potere, nella loro vera o presunta innocenza, nelle assolute casualità delle strategie affaristiche familiari, nella certezza di una lenta impunita giustizia, forse anche nella sofferenza di un degrado che non si riesce più a gestire, a tutti loro vorrei chiedere di evitare qualsiasi forma di superficialità e di arroganza; ci sono segnali, signori miei, che sono come una febbre, un sintomo e non la malattia. E le febbri non vanno trascurate perché non sempre  banali sono le influenze. Attenzione, vi dico, perché si è al sicuro finché nel recinto le belve si sbranano tra loro. Dopo, da sbranare, non resteranno che i guardiani.

Anna G. Rivelli

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