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REGGIO CALABRIA – La squadra Mobile di Reggio Calabria, in esecuzione di un’ordinanza di custodia cautelare emessa dal gip, ha arrestato sei presunti esponenti di vertice delle cosche di ‘ndrangheta Zappia e Cianci-Maio-Hanoman, operanti nel territorio di San Martino di Taurianova (RC). 

Gli indagati sono accusati di associazione mafiosa ed estorsione aggravata dal metodo mafioso. Al termine delle indagini, coordinate dalla Dda di Reggio Calabria, la Polizia ha accertato una pressante attività di taglieggiamento ai danni di alcuni imprenditori agricoli posta in essere, per lunghi anni, dagli arrestati che imponevano la guardiania ai terreni.

Le indagini dell’operazione “Vecchia Guardia” sono state dirette dal sostituto procuratore della Dda Giulia Pantano col coordinamento del procuratore Federico Cafiero De Raho. Gli imprenditori sarebbero stati costretti a pagare la “tradizionale” guardiania ai terreni, dietro la quale si cela un metodo di oppressione per trarre risorse economiche in favore della cosca di appartenenza. La Mobile di Reggio, diretta dal primo dirigente Gennaro Semeraro, ha eseguito anche un’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal gip di Reggio Calabria. 

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Al centro dell’operazione ci sono le tre «sorelle d’omertà»; erano loro a riscuotere direttamente la tangente che i capi della cosca Zappia-Cianci imponevano agli agricoltori di San Martino di Taurianova, centro della Piana di Gioia Tauro. Sorelle anche all’anagrafe, Maria, Teresa e Rosetta Zappia, nipoti del vecchio capo bastone don Giuseppe Zappia, ucciso in un agguato nel 1993 e definito “il presidente” per aver presieduto il cosiddetto «Summit di Montalto» del 26 ottobre 1969, interrotto dal tempestivo intervento dai poliziotti di Reggio Calabria diretti allora da Alberto Sabatino e dal questore Emilio Santillo. 

Sono state le dichiarazioni del collaboratore di giustizia Antonio Russo a consentire di operare i sei arresti. Le manette sono scattate per Vincenzo Giuseppe Zappia (49 anni), Maria Zappia (52), Teresa Zappia (44), Rosetta Zappia (35), Giuseppe Zappia (45), Domenico Cianci (65). La vittima inizialmente ha reso solo parziali ammissioni mentre solo in un secondo momento ha offerto un narrato più ampio, alla luce delle dichiarazioni del pentito.

«Il potere mafioso in Calabria – ha detto il capo della Dda di Reggio Calabria Federico Cafiero de Raho – dopo anni di indagini, operazioni ed arresti, è sempre nelle stesse mani. Nelle mani degli eredi di Giuseppe Zappia e di Domenico Cianci, il quale, appena messo fuori i piedi dalla galera, ha iniziato da subito, con minacce e danneggiamenti, a perseguire l’attività estorsiva dopo alcuni anni di prigione. E’ grave però rimanere immobili e silenti e solo quando si romperà l’omertà la ‘ndrangheta davvero sparirà nel nulla». 
«Le indagini – ha detto il questore Guido Longo – sono iniziate grazie al collaboratore di giustizia Antonio Russo il quale svolgeva inizialmente il ruolo di ‘mediatorè tra i proprietari terrieri e la ‘ndrangheta, dopo una serie di atti di intimidazione e danneggiamenti alle coltivazioni. La ‘ndrangheta puntava ad imporre la ‘guardianià, una sorte di protezione mascherata, pena gravi ritorsioni. Ma Russo è stato scoperto ed ha iniziato a raccontare quanto già eravamo riusciti a scoprire». Il dirigente della squadra mobile, Gennaro Semeraro, che ha diretto l’operazione coordinando l’attività degli agenti del commissariato di Taurianova, ha detto che «al di là dell’entità delle somme richieste, la cosca Zappia-Cianci esercitava un asfissiante controllo del territorio, una connotazione tipica della ndrangheta e che caratterizza la suddivisione dei singoli ‘localì nel più vasto ‘mandamentò».
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