X
<
>

Condividi:
4 minuti per la lettura

di ALESSIA GIAMMARIA – Sarà che ama la montagna – «non le scalo ma amo fare  trekking» – sarà che è riuscito, impresa fino a oggi impossibile all’interno del Pd, a mettere d’accordo tutti,  fatto sta che l’avvocato Luigi Petrone  non si è tirato indietro e ha accettato la sfida. «Sì mi candido a sindaco di Potenza per il Partito democratico». Dice con tono pacato ma fermo. Di un uomo, un professionista che ha deciso che quella “montagna” –  il Palazzo di città  si trova in alto – la vuole «scalare». Magari «a piccoli passi e non di certo di corsa» ma «con entusiasmo».

Un entusiasmo «che è stato – racconta – uno dei fattori che mi hanno spinto poi ad accettare». E come non essere entusiasti quando si è riusciti a compattare attorno al proprio nome un partito, come quello Democratico, dove ogni occasione è sempre stata buona per discussioni, liti più o meno furiose, e “scissioni”.

Un uomo, l’avvocato Luigi Petrone che fino a oggi non ha mai fatto «politica attiva pur nutrendo il massimo rispetto per chi l’ha fatta e per il valore che do alla Politica, quella con la p maiuscola» e che da oggi è nell’agone «non solo perché la proposta mi è giunta da persone amiche, come Vito Santarsiero e Salvatore Margiotta, solo per citarne due» ma soprattutto perché «era giusto che un cittadino come me, che fa parte di quella società civile che parla, giudica, non lesina critiche quando è giusto muoverle, alla fine non si mettesse in gioco».

E sì perché non sempre la «società civile – aggiunge – ha poi la voglia di cimentarsi con i  problemi». Più facile, inutile nasconderselo, farlo solo a  parole.

Ed ecco i due fattori che hanno portato  Luigi Petrone a prendere la sua decisione: «Mi metto in gioco».

Un mettersi in gioco che è giunto anche grazie alla concomitanza di due fattori. Il primo, come detto, quello di essere riuscito in una sorta di missione impossibile:  compattare un partito dove ogni occasione era buona per aprire una frattura . Il secondo: «la voglia e la determinazione di non tirarmi indietro. Di non chiamarmi fuori in quanto membro di quella società civile che spesso viene citata e a cui ci si appella». E lui all’appello ha risposto «anche perché – ha dichiarato candidamente –  facendo parte della società, vivendola quotidianamente sia nel lavoro che nel privato  ho magari dalla mia la capacità di riuscire a vedere meglio, anche perché come tanti altri li vivo sulla mia pelle, i problemi con cui la gente si deve confrontare ogni giorno soprattutto in questo particolare momento di crisi». Una «crisi che non è solo economica ma è anche degenerata in una sorta di disamore verso tutto». E poi «l’entusiamo   – ha aggiunto – che ho avvertito ieri sera (sabato per chi legge n.d.r) al al Principe di Piemonte è stato talmente bello da farmi comprendere ancora di più che la mia decisione era giusta».

E forse è proprio l’entusiasmo  ad animare Luigi Petrone che vede e vive la città «come la vedono e la vivono tutti i potentini. Con i suoi pro e i suoi contro». Una «giusta distanza» –  per chi non ha mai fatto il politico di professione – che può «servire non poco nel misurarmi con i problemi».

E di problemi non ne mancano a partire dai conti in rosso del Comune. Ma «questo non mi spaventa – ammette – perché la crisi, i tagli alle pubbliche amministrazioni non possono e non devono essere degli alibi ma devono essere visti come punti da cui ripartire».

Ovvio che fresco dell’investitura «non posso parlare già di programmi. I programmi li decideremo nei prossimi giorni» ma una cosa Petrone l’ha già in mente: «mi piacerebbe condividere ogni singola idea con tutti i miei concittadini».

Non solo. «Vorrei che l’amministrazione venisse percepita come un mezzo per la risoluzione dei problemi» mentre oggi «e lo dico anche da avvocato amministrativista» tutti «la percepiamo come un ostacolo. Troppa burocrazia».

Insomma è «necessario un cambio di mentalità». La politica «non deve essere un esercizio di potere ma deve essere un servizio al cittadino».

Cittadino che dal suo canto «deve necessariamente anche essere più collaborativo» perché «un’automobile va  bene solo se tutti gli ingranaggi funzionano bene». La parola d’ordine per lui «è fare».

a.giammaria@luedi.it

Condividi:

COPYRIGHT
Il Quotidiano del Sud © - RIPRODUZIONE RISERVATA

EDICOLA DIGITALE