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POTENZA – Maurizio Bolognetti, segretario dei Radicali lucani, è stato assolto dall’accusa di rivelazione di segreto d’ufficio “perché il fatto non costituisce reato”, in merito alla vicenda delle analisi sulle acque della diga del Pertusillo e le analisi indipendenti del tenente della polizia provinciale Giuseppe Di Bello. E qui sta la prima discrepanza: Giuseppe Di Belli, attualmente candidato sindaco a Potenza, scelse il rito abbreviato, ieri invece si è concluso lo stralcio di processo relativo al ruolo di Bolognetti.

E mentre per Di Bello arrivò una condanna a due mesi e venti giorni per Bolognetti è arrivata l’assoluzione. La cosa non è passata inosservata. Il tenente Di bello, ex grillino fatto fuori un secondo prima delle Primarie per il candidato presidente alle scorse regionali del Movimento 5 Stelle e proprio a causa della sua condanna, si sfoga su facebook:  Il pubblico ministero invece, durante il dibattimento finale del processo a Bolognetti, aveva chiesto due anni. «Sapete quando si parla di giustizia da comprendere – scrive Di Bello – rispetto alle sentenze che emette? Bene al sottoscritto sulla vicenda inquinamento delle acque del Pertusillo, per aver informato i cittadini fuori dall’orario di lavoro con propri mezzi e manco un centesimo di danaro pubblico: condannato.

La persona con la quale avrei in concorso diffuso le notizie: assolto. Qualcuno mi spieghi l’alchimia». In pratica Di bello avrebbe consegnato nelle mani di Bolognetti i risultati delle analisi sulle acque del Pertusillo, dati che sarebbero stati sottoposti a segreto. Stando ai giudici che hanno condannato il tenente infatti Di Bello, in qualità di ufficiale giudiziario, avrebbe informato Bolognetti delle indagini in corso sulla vicenda della diga.

Quei dati in pratica sarebbero elementi di investigazioni compiute dalla polizia provinciale per conto del pubblico ministero sulla vicenda inquinamento del Pertusillo.

Alla fine è arrivata l’assoluzione per almeno uno dei due protagonisti della vicenda. Ma perché Bolognetti assolto e Di Bello condannato?

Difficile dirlo al momento, in attesa delle motivazioni delal sentenza, fatto sta però che il legale di Bolognetti, Vincenzo Montagna, una delle tre tesi esposte in sede dibattimentale potrebbe essere quella giusta. In primo luogo è stata sostenuta l’ipotesi dell’assenza di danno. In effetti la divulgazione dei dati sull’inquinamento del Pertusillo non ha provocato un vero e proprio danno, neanche probabile. In secondo luogo il difensore, così come Bolognetti, si sono appellati all’articolo 3 del codice dell’Ambiente e alla convenzione di Aarhus, che definiscono le priorità in caso di divulgazione di dati.

Un ultimo aspetto invece va osservato nel ruolo stesso di Giuseppe Di Bello, ovvero quello di pubblico ufficiale. Il tenente infatti non avrebbe consegnato le carte nelle mani di Bolognetti su insistenza, ma di sua spontanea volontà.

«Questa volta posso scriverlo senza punto interrogativo: c’è un giudice a Berlino», sono le parole di Bolognetti dopo la sentenza».

Per il Tribunale di Potenza, per il collegio giudicante presieduto dal dottore Gubitosi, non ci fu rivelazione di segreto in relazione alla divulgazione di dati ambientali inerenti la diga del Pertusillo. A mente fredda avró modo di tornare su una vicenda che mi ha tenuto sulla corda per oltre 4 anni, ma oggi voglio solo ribadire che ho onorato la legge e il diritto. Di certo, il diritto dei cittadini lucani a poter conoscere per deliberare. Non poteva esserci rivelazione di segreto su analisi Arpab mai diffuse, e a maggior ragione, su analisi da me commissionate e pagate.

Giustizia è fatta. Oggi dico grazie al dottore Gubitosi, al mio avvocato Vincenzo Montagna, a chi si è indignato e a chi mi ha sostenuto e mi sta manifestando stima e affetto. Nelle prossime ore, sarà il caso di ricostruirla questa storia, fatta di accuse infami, che mi sono state indirizzate da chi di mestiere fa il portavoce di non so chi e non so cosa, e di palesi incompatibilità ambientali. In attesa di leggere le motivazioni, dico che questa sentenza rappresenta un importante precedente. Sì, c’è un giudice a Berlino».

v.panettieri@luedi.it

 

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