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Gentili lettori, consentitemi una volta tanto di rivolgervi una domanda: ma le cose in Basilicata devono proprio andare così?
E cioè con un Pd più somma che sintesi, come direbbe Emanule Macaluso, una sorta di fusione fredda tra ex Pci ed ex Dc che hanno bandito parole come socialismo e liberalismo, un partito, unito dal collante del potere e dunque impegnato a conservare le leve del comando senza porsi minimamente il problema di come uscire dalla più grave crisi che la regione abbia avuto in questo secondo dopoguerra, una crisi non soltanto economica, ma sistemica che ingloba fattori demografici, culturali, infrastrutturali.
Con un ente regione che viene sciolto anzitempo per consentire l’avanzamento delle carriere dei suoi vertici, ma che oggi resta in piedi nonostante alcuni suoi rappresentanti più significativi siano passati da indagati ad imputati o addirittura condannati, aggirando di fatto alcuni articoli della Costituzione italiana, la stessa legge Severino, non ponendosi comunque questioni di opportunità politica nel continuare ad occupare posti per i quali vengono richiesti determinati requisiti morali.
Con Giunta e Consiglio regionale che decidono autonomamente ed in barba a regole e leggi nazionali ed europee, quando i consiglieri sono incompatibili (e cioè con sentenza di condanna definitiva e quindi a babbo morto), come disattendere il patto di stabilità scavalcando velleitariamente regole nazionali ed europee, come impedire alla corte dei Conti di fare le pulci alle spese che attengono al vasto sistema clientelare regionale, come riservarsi i poteri in materia ambientale, nonostante i disastri finora compiuti non solo circa le estrazioni del petrolio, ma anche nel campo del dissesto idrogeologico, dei “villaggi chiusi” consentiti a piene mani nel turismo e così via.
Abbiamo toccato il fondo, ma PD ed Ente Regione Basilicata continuano a scavare.
Il grande meridionalista, Manlio Rossi doria osservava che per rilanciare il sud occorresse fare la lotta alle cavallette che egli individuava nei politici di allora, immaginiamoci cosa direbbe oggi. Come è noto, le cavallette sono parassiti, voracissimi e pronti ad andare in qualsiasi direzione, pur di mangiare il grano, prodotto ovviamente dagli altri.
Una metafora che oggi in modo colto è tradotta nelle istituzioni estrattive, ossia quelle istituzioni- e le regioni sono un caso di scuola-finalizzate ad “estrarre” rendite per una minoranza di privilegiati, annidati nella politica, nella burocrazia, nelle corporazioni datoriali e sindacali.
Con la istituzione dell’ente regione le cavallette sono diventate casta, gradatamente razza padrona.
La Regione è passata da ente di programmazione ad ente amministrativo, a gestore burocratese delle risorse disponibili, una vera e propria eterogenesi dei fini. Ed in quanto tale si è dimostrata la vera palla al piede del possibile sviluppo regionale.
Questo contesto si è riverberato sul sottosviluppo come simbolo del potere, sul territorio, sulla società lucana, deprimendone potenzialità ed energie vitali.
Finora purtroppo si è risposto sì alla domanda posta all’inizio, se si continuerà a dire sì sappiamo cosa ci attende: un lento quanto inesorabile declino.
Rispondere no vuol dire, al contrario, avviare il cambiamento, aprire la regione ad una fase di sviluppo, collocandola finalmente nel solco della storia moderna.
Come fare? Trasformando le cavallette in asini, cavalli, bardotti, ossia togliendo dal loro groppone il demone del consenso immediato che ha modo di svilupparsi, organizzando il clientelismo che è il cancro della società non solo lucana. L’occupazione dei centri di spesa va limitata nel tempo :massimo una legislatura o consiliatura. Il politico ideale è il civil servnt, ossia colui che ha una sua professione, un suo mestiere che sacrifica temporaneamente per servire la comunità, ritornando a fare il suo lavoro precedente una volta scaduto il suo mandato istituzionale, un politico non più dispensatore di favori, ma un produttore , se ne è capace, di idee, di progetti finalizzati al bene comune. Non avendo l’assillo della riconferma, non avrà interesse a costituire truppe cammellate, dato che non potrà impiegarle per guerre di potere.
La burocrazia, d’altro canto, potrà in tal modo non subire le pressioni improprie dei politici, sapendo che la carriera dei suoi funzionari dipenderà dai risultati effettivamente conseguiti e certificati da organismi di valutazioni autorevoli ed indipendenti, non più da fedeltà ed appartenenza ai micronotabili regionali. Gli stessi cittadini lucani, liberati dai lacci le lacciuoli del clientelismo ed assistenzialismo, sapranno che molte delle loro fortune dipenderanno dalle proprie competenze, dai propri meriti, concorrendo così a realizzare una regione non più questuante e dunque marginale nello scacchiere italiano, capace invece di creare con le proprie forze sviluppo autosostenibile, avendone tutte le condizioni per farlo.

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