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di FABIO AMENDOLARA
POTENZA – Forse ha capito solo ora che quelle erano relazioni pericolose. Ora che il suo amico, che per i magistrati della procura antimafia è il massimo esponente della ’ndrangheta in Basilicata, e l’uomo con cui ha condiviso gioie e dolori, l’imprenditore che pagava il pizzo, combattono su fronti contrari. Solo ora che il boss deve difendersi dalla galera e l’imprenditore, invece, dalla fame. Solo ora le è chiaro che quella in cui ha vissuto non è una fiction televisiva. Lei che è un’amica di vecchia data del boss Renato Martorano e che ha avuto un ruolo importante nella vita dell’imprenditore Carmine Guarino si trova al centro. Tra due fuochi.
Cristina Bochicchio è un’affascinante donna sulla quarantina con movenze eleganti e abiti firmati. Sorride, nonostante il momento sia difficile. Tra qualche settimana dovrà dire in aula, davanti ai giudici, ciò che sa del giro di usura che gestiva il suo amico, il boss. Dovrà confermare ciò che ha raccontato qualche mese fa al sostituto procuratore antimafia Francesco Basentini. Questa, per un testimone, è la fase più delicata. Per lei, che a Potenza ormai tutti chiamano «lady mafia», lo è ancora di più.
Perché questa non è la solita storia criminale descritta da freddi atti processuali. E’ una storia di forti legami, che in lei provocano anche forti emozioni.
«Ho difficoltà a rendere dichiarazioni», premette Cristina al magistrato. «E’ per il legame che ho sia con Carmine Guarino che con Renato Martorano». E’ la prima volta che entra in procura per questioni così delicate. L’inchiesta è affidata al Raggruppamento operativo speciale dei carabinieri. Gli investigatori, quando convocano Cristina, hanno già le idee chiare.
Sanno già che il boss ottiene i soldi che presta da finanziatori occulti: Nicola Giordano, Gerardo Vernotico e Matteo Di Palma. Il primo è un ricco ingegnere, ex funzionario dell’Ente irrigazione. Gli altri due gestiscono una sala giochi. Sono accusati di «usura», con l’aggravante «di aver agito con metodo mafioso». Questo è il contesto in cui è finito Carmine Guarino, un imprenditore miliardario che era riuscito a far diventare d’oro una cava di sabbia. E’ stato il mix distruttivo tra la passione per i tavoli verdi e una gestione poco attenta del denaro a lasciarlo sul lastrico. La Ferrari, le Porsche, i suv, i ristoranti di lusso. Chi lo conosce ricorda ancora «la bella vita» che conduceva. Tanti appalti. Tanti soldi. «E i casinò». Montecarlo, Campione d’Italia, Saint Vincent. E lei, Cristina, al suo fianco. La stessa Cristina che adesso deve accontentarsi di una vita più modesta. Parlare del suo passato non le piace. Abbassa lo sguardo e, con gentilezza, dice: «Lasciamo stare». Alle domande del Quotidiano risponde a monosillabi. Poi cerca di portare il discorso altrove.
Al sostituto procuratore antimafia è andata meglio. Il racconto di Cristina riempie qualche pagina di verbale. In basso c’è la sua firma. Come sul certificato di proprietà della Porche che le aveva intestato Guarino e che ha dovuto cedere al boss. E’ solo uno dei racconti. «Spero un giorno di avere l’opportunità di chiarire a Renato Martorano le motivazioni del mio comportamento», dice al pm. Poi conferma: «So che Renato ha dato dei soldi a Carmine, ma non so quanti». Guarino cercava di nasconderle quello che stava accadendo.
«Carmine – racconta Cristina – non mi ha mai detto chiaramente di essere sotto usura da Renato ma io, che ci fossero problemi gravi tra i due, l’avevo intuito». Guarino, secondo gli investigatori, pagava tanto e spesso. Quanto? «Carmine – sostiene Cristina – mi ha sempre detto che pagava ogni mese. E so che i proventi della vendita dei mezzi dell’impresa sono andati, non so se totalmente o solo in parte, a Renato Martorano».
Secondo gli investigatori si tratta di 800 mila euro. Il debito iniziale, però, sarebbe stato di soli 80 mila.
Quel debito a Guarino è costato anche una Porche, una villa in campagna, qualche altro regalo e, forse, anche problemi di salute. «E’ stanco, a pezzi», dice Cristina. Ed è finito dietro le sbarre per un’aggressione a un pubblico ufficiale. Con lei cambiava spesso versione. «Mi ha detto sempre cifre diverse», dice al pm. Una, in particolare, la ricorda: «250 mila euro». Per gli investigatori, però, è solo una tranche.
f.amendolara@luedi.it

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