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POTENZA – «Aiutare la Grecia significherebbe applicare un’economia di giustizia, non è una questione di sistemi secondo me. L’economia buona ha al centro l’uomo, basta questo». Moni Ovadia è un uomo di cultura saggio, profondo e sincero; è davvero un privilegio poter sentire questo maestro prima del suo spettacolo “Trasponde”, domenica all’auditorium del Conservatorio, alle 19, nell’ambito della 28esima stagione concertistica organizzata da Ateneo Musica Basilicata. Lo spettacolo unisce musica e parole di diverse lingue ed etnie, ed è il giusto pretesto per parlare di confronti tra culture diverse e di accoglienza in un’intervista concessa a il Quotidiano del sud da Moni Ovadia.

Maestro, quale è il senso dello spettacolo “Trasponde”?

«Le racconto un piccolo aneddoto: c’è un documentario molto bello dal titolo: “Who’s this song (di chi è questa canzone)”, in questo lavoro si ritrovano seduti ad un tavolino cinque persone di nazionalità ed etnie diverse. Ad un certo punto una cantante del locale intona una canzone, ognuno dei commensali attribuisce questa canzone al proprio popolo. La passione con cui ognuno di questi popoli difende l’appartenenza del brano, da una lato è commovente dall’altro inquietante. Questa canzone e questo documentario mi sembrano proprio il senso di questo nostro “Trasponde”, in modo paradossale. Noi dobbiamo ritrovare lo spirito che sta tra le sponde, queste ultime sono luoghi per unire e non per dividere i popoli. Lo scontro è la perversione del confronto».

Quanto è pericolosa la ricerca e difesa d’autenticità ed identità nei popoli?

«Non c’è niente di male, il male risiede quando fai della tua identità un’arma per aggredire un altro; solo se sei un essere umano come identità universale puoi accedere ad una identità secondaria. Un vero essere umano è quello che accoglie un altro da sé».

Perché secondo lei le discriminazioni, la xenofobia e il razzismo hanno oggi tutti questi proseliti?

«Questa gente c’è perché la paura è uno degli istinti più forti dell’uomo. L’altro ti mette in discussione sempre. Mio padre era un buon uomo, ma ho avuto problemi con lui perché mi vedeva vivere in maniera diversa. Lui era composto, io ero un capellone sovversivo, anarchico, teatrante ecc. Lui avrebbe voluto pensare che c’era solo un modo di vivere e io gli dimostravo che esisteva almeno un altro modo. Questo scatena l’aggressività. Sastre racconta in un suo libro che quando in una graduatoria scolastica un buon francese vedeva che c’erano stati sette prima di lui e tra i primi c’era un ebreo, la colpa non era degli altri cinque ma di quell’ebreo che gli aveva rubato un posto. Vedere il male nel diverso o in un modo di vivere diverso, diventa una sorta di giustificazione».

Che paese è l’Italia?

«L’Italia è un Paese a cui piace sempre assolversi. Il mito per esempio dell’Italia brava gente è fradicio, marcio. Un Paese di brava gente ai tempi del fascismo non lasciava cacciare i professori e i bambini dalle scuole, si ribellava. Un paese di brava gente non doveva avere un esercito fascista che ha commesso due genocidi in Etiopia e Cirenaica, senza parlare di ciò che è stato fatto nell’ex Jugoslavia. Un gruppo che riconosce i propri errori diventa migliore».

Concludiamo. Cosa è per lei la Bellezza?

«La Bellezza è una condizione interiore che non può avere forme perché mostrerebbe subito i suoi limiti. La Bellezza è quella capacità di guardare il mondo che trascende l’utilità».

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