X
<
>

Condividi:
5 minuti per la lettura

GENTILE direttore,

da qualche tempo mi sono convinto che il PD lucano semplicemente non esiste.

Tuttavia, vorrei, per qualche riga, rimanere alla finzione ed esprimere un paio di opinioni se non altro sul marchio PD, made in Lucania. Tra i tanti disastri messi in opera dai convinti tenutari del logo, mi lasci esprimere quello che, a mio avviso, ha recentemente causato più lutti di tutti. Quale? La mancata cacciata di (nell’ordine): Marcello Pittella, Maria Antezza e Luca Braia.

Naturalmente, in pieno clima di finzione, ci saranno diversi filosofi subito pronti a sbuffare: «un partito democratico non caccia nessuno! Noi non siamo Grillo». E cretinate simili.

Un’ipocrisia strisciante, serenamente catalogabile tra gli ingredienti che hanno plasmato la farsa PD. Ma andiamo oltre. A questi tre personaggi, il marchio PD ha sostanzialmente detto: fate un po’ quel cavolo che vi pare. Nessuna regola, nessun freno.

Volete fare campagna contro il PD e poi chiederne la segreteria? Accomodatevi.

Volete essere neutrali al primo turno delle comunali potentine e poi lamentare il mancato coinvolgimento al ballottaggio? Non fa una grinza.

Volete organizzare primarie con il supporto della Cina e della Destra e poi chiedere a gran voce il rispetto delle regole? Certo, la rivoluzione è rivoluzione.

Volete eleggere un segretario regionale per compensarlo della mancata candidatura alle regionali? Basta chiederlo. Avete altri desideri? No, per il momento è tutto, grazie.

Il marchio è fatto così. È democraticissimo. Verrebbe quasi da dire: vi prego, dateci più ‘Partito’, anche se meno ‘Democratico’! Ma attenti, però. È diventato talmente democratico da essere oggi permeabilissimo e vulnerabilissimo.

Quanto vale un simile marchio? Boh. Ma la domanda è un’altra: a chi appartiene questo marchio? Un qualunque fotogramma di una direzione regionale potrebbe facilmente trarre in inganno: foto e video ritraggono gli stessi personaggi, sempre in prima fila. Si alzano, sbrodolano parole, si siedono ed il vicino si complimenta.

“Ma che bell’intervento! Che lucidità di analisi! E poi, te lo devo dire…quel passaggio lì, quando le hai cantate a quello…micidiale!”. Uno li guarda, li ascolta e potrebbe esser portato a credere che siano ancora loro, i reggenti. Ma siamo sicuri? Non sono mai stato renziano e la sola parola “rottamazione” mi provoca attacchi isterici. Però, suvvia.

Senza voler rottamare nessuno. Possiamo dire che queste persone hanno fallito? E allora diciamolo: in qualunque organizzazione sarebbero stati licenziati per somma di cause! E tutte giustissime, peraltro.

La colpa più grave? Aver diviso il “partito” in contrade che si avversano in un palio in cui a correre, però, sono rimasti solo ronzini stanchi. Palio bizzarro, in cui, alla fine, non c’è mai un vincitore. Il primo premio, anch’esso molto democraticamente, viene infatti diviso tra le contrade, equamente. Ma in una cosa, però, fanno ancora faville. Nel creare climi di omertà e paura fuori e dentro l’organizzazione.

 Tutti permalosissimi, i dirigenti del marchio PD. Impegnatissimi a difendere le ragioni del proprio piccolo, piccolissimo e insignificante quartiere. O i capricci dei propri ronzini. Avete mai provato a criticarli? Verreste subito tacciati di disfattismo. O di non capire un cazzo di politica. «Hey, la politica è una cosa seria, ed è cosa nostra. Vuoi far politica? Portami dell’acqua e ne parliamo».

Il malcapitato gliela porta, l’acqua. E magari prova pure a mixarla con qualche idea. Ma i capi-contrada mica hanno sete. Si accontentano di avere un nuovo adepto. E se ne fottono dell’acqua mixata. Benissimo, queste sono le regole che hanno deciso di imporre sino ad oggi. Ma valgono ancora queste regole? E per chi? La mia idea è che contino ancora molto, ma solo all’interno delle direzioni. Fuori da quelle quattro mura, piuttosto sciatte, me lo lasci dire, regna l’indifferenza.

Al netto dell’onda Renzi e di qualche rendita personale, quale di questi maggiorenti è ancora in grado di eccitare qualche anima? Non so se si ricandideranno a qualcosa (personalmente ricandiderei solo Bubbico, che, con pregi e difetti, ha il gran merito di volare su altre sfere).

Ma nel frattempo, in vista del congresso, chiederei ai tesserati: che partito immaginate? Non è il momento di aprire a quelli che, come si dice, di politica non “capiscono un cazzo”? È ancora sopportabile l’idea che far politica, oggi, significhi intenderla alla maniera degli attuali colonnelli? Vedo con favore la richiesta di riapertura dei termini di Lacorazza. A patto, però, che chiarisca che non sarebbe lui, nel caso, il candidato. E vedrei bene la riapertura non tanto perché le candidature siano ferme ad inizio anno.

Ma perché è un dato chiarissimo, e Piero lo sa bene (e gli altri?), che il PD, in Basilicata, non può più correre con gli stessi fantini.

Quel PD è vecchio, logoro e ormai battibilissimo. E non saranno certo le parole vuote pronunciate da un Braia o da un Polese a rianimarlo. Altissimi temi quali: la ricerca di unità, la convergenza su un candidato unico, la rivoluzione, il renzismo o il non renzismo (“io sono più renziano di te, tu sei arrivato dopo”), l’ora della svolta. Tutte cazzate a breve raggio. Si rimescolino le carte, please. E si cambino i giocatori.

Difficile trovarne di nuovi? A questo punto, visti i risultati dei predecessori, direi che è solo un alibi.

Condividi:

COPYRIGHT
Il Quotidiano del Sud © - RIPRODUZIONE RISERVATA

EDICOLA DIGITALE