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SE C’È un mezzo efficace per far crescere una comunità, quello è la cultura. Non si tratta, sia chiaro, della sua concezione più ovvia,  ovvero quella legata a spettacoli teatrali, musicali o di altro genere di intrattenimento.

La cultura è conoscenza e, per questo, comprensione e studio.

Il vantaggio della nostra epoca è che, nonostante continui tentativi di massificazione e di appiattimento, i giovani hanno ancora voglia di comprendere e conoscere. E dunque di studiare.

Per fare in modo che questo avvenga è necessario che le comunità li mettano nelle migliori condizioni, consentendo a chi non può permettersi di studiare altrove, di farlo nella propria città.

Rischia di non essere così, però, per chi sceglie la facoltà di ingegneria civile e ambientale di Matera.

Il pericolo concreto che la sede materana venga chiusa rende necessaria una riflessione complessiva legata non solo alle esigenze degli studenti ma ad un modello di “investimento per il futuro” dal quale nessuna categoria può prescindere.

Costringere gli studenti a spostarsi in altre città, indebolisce non solo la realtà universitaria cittadina ma anche l’intera comunità a cui si toglierebbe un riferimento non marginale.

Per fortuna ancora oggi le università sono luoghi non solo di studio ma soprattutto di confronto, approfondimento e dibattito  e che ciò accada in una città in cui la storia ha segnato cambiamenti epocali, è doveroso oltre che normale.

Mai come in questo caso è proprio la normalità quella di cui necessitano gli studenti materani.

La normalità  di studiare nel luogo in cui sono cresciuti e che, forse, abbandoneranno (ma questa volta volontariamente) dopo aver ottenuto conoscenze e competenze necessarie ad affrontare il mondo del lavoro.

Le reazioni di questi giorni alla paventata chiusura della facoltà di ingegneria civile di Matera dimostrano che il vero nodo della questione non può non essere il futuro dei ragazzi ma anche del territorio.

Togliere un tassello che incrina ulteriormente una situazione di per se’ già difficile (come dimostra il Campus sempre celebrato ma non ancora realizzato) non aiuta nessuno.

Il movimento d’opinione creato attorno a questa vicenda deve, perciò, diventare un’onda lunga in grado di condurre ad una rilettura delle decisioni.

Studenti, istituzioni, organizzazioni di categoria devono far sentire forte il proprio no a questa chiusura, ad una scelta partita dall’alto che rischia di franare sul capo degli universitari.

a.ciervo@luedi.it

 

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