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BARAGIANO – «Io non ce l’ho con gli operai, ci mancherebbe. Sono parte anche loro di tutto il sistema produttivo. Ma c’è qualcosa che non funziona in questo Paese ed è per questo che stiamo in questa situazione, con il lavoro che manca e tanti imprenditori che alla fine scelgono di andare a investire altrove».
A parlare è Antonio Guglielmi, titolare della Linea legno di Baragiano scalo. Lo scorso 2 ottobre è stata emessa la sentenza che aspettava da anni: il Tribunale di Potenza, infatti, ha ribaltato in appello la sentenza del 27 novembre 2013 che condannava la sua azienda reintegrare 3 operai licenziati e a corrispondere «una indennità risarcitoria commisurata all’ultima retribuzione globale di fatto a partire dal 31 agosto 2009 sino al giorno dell’effettiva reintegrazione». Ora il Tribunale gli ha dato ragione. Il reparto in cui quei tre operai lavoravano lui, il titolare, aveva il diritto di chiuderlo.
L’azienda, che è sul mercato dal 1980, nel 2009 contava 60 operai.
«Le cose – spiega Guglielmi – si complicano proprio nel 2009, quando la crisi economica comincia a farsi sentire. Allora decidiamo di chiudere un piccolo reparto dell’azienda, quello di carteggiatura. Per noi quel reparto non era più produttivo e, a malincuore, dobbiamo prendere la decisione di licenziare i quattro addetti di quel reparto. Attenzione, perchè questo tengo a precisarlo, loro non mi chiedono neppure di poter essere inseriti in organico in altri reparti. Noi licenziamo e tre di quegli operai ci fanno causa».
I tre operai si sentono discriminati. Uno dei tre – si legge in una nota del sindacato di Base Cub – «all’epoca del licenziamento era rsu ed Rls (Rappresentante della sicurezza), aveva fatto più volte intervenire gli Ispettori dell’Asl circa questioni che interessavano la sicurezza e la prevenzione sul posto di lavoro attirando le ire dell’Azienda». Quindi, per il sindacato è chiaro che la decisione di licenziare proprio quei tre operai è una scelta precisa, fatta per punire dei dipendenti che alla direzione “non sono simpatici”.
«Ce ne hanno dette di tutti i colori – dice Guglielmi – danneggiando come potevano la nostra immagine. Non potete immaginare quante commesse, anche buone, abbiamo perso a causa della cattiva pubblicità che loro hanno inziato a fare a livello nazionale. Noi all’epoca facevamo pubblicità anche sui canali Mediaset, ma poi i clienti su internet leggevano che noi eravamo i padroni cattivi che avevamo buttato per strada tre operai per discriminarli. E perchè erano del sindacato? Nella mia azienda tutti gli operai erano sindacalizzati ma siccome io ho sempre pagato tutto e mi sono comportato correttamente, di problemi non ne avevo mai avuti».
La sentenza di condanna dell’azienda arriva in primo grado il 27 novembre 2010. Il giudice del Tribunale di Potenza dichiara i licenziamenti «illegittimi».
«E a quel punto per noi è diventato difficile davvero. Perchè ci hanno chiesto 300.000 euro di danni. Abbiamo avuto i conti bloccati, le banche ci hanno chiuso le porte. Così dai 60 dipendenti iniziali siamo dovuti scendere agli attuali 13, compresi i tre operai che ci hanno fatto causa e che il Tribunale ci aveva imposto di reintegrare. In più, siccome loro sapevano lavorare in quel settore, siamo stati costretti anche a riaprire il reparto di carteggiatura, proprio quello che inizialmente volevamo chiudere».
Il 2 ottobre scorso la sentenza d’Appello, «in cui il giudice ci dà ragione. Noi avevamo il diritto di chiudere quel reparto e in quei licenziamenti non c’era alcuna volontà discriminatoria. C’era solo una ragione economica, la crisi aveva cominciato a darci i primi problemi e noi abbiamo dovuto prendere una decisione».
«La verità – conclude Guglielmi – è che qui non andiamo da nessuna parte se non cominciamo a pensare che tutti siamo responsabili del nostro posto di lavoro. Tutti, imprenditori e operai. Servono persone di qualità da entrambe le parti, ma si deve anche smettere di pensare che “il padrone” è la mucca da mungere. E lo dico proprio ora che è tanto acceso il dibattito sull’articolo 18. Che se poi le aziende decidono di scappare altrove uno dei motivi è anche questo».

a.giacummo@luedi.it

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