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Una delle foto finite negli atti dell’inchiesta dell’Antimafia

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POTENZA – Lui, Saverio Riviezzi, respinge tutte le accuse, e prova a giustificare il motivo per cui il suo cellulare avrebbe agganciato le celle telefoniche sopra i due uffici postali presi di mira dai rapinatori, a settembre del 2017 e a giugno del 2018. Ma dalle carte dell’Antimafia continuano ad emergere particolari inquietanti, che lasciano intravedere anche possibili sviluppi futuri.
Sono andati avanti per tutta la giornata di ieri gli interrogatori di garanzia per i 10 finiti in carcere martedì mattina nell’ambito dell’ultima inchiesta sul clan dei pignolesi, più i 4 agli arresti domiciliari e i 3 sottoposti all’obbligo di firma in caserma.

Il primo a comparire davanti al gip che ha firmato le misure cautelari, Teresa Reggio, è stato proprio il presunto capoclan, in video-conferenza dal carcere di Ascoli. Mentre i suoi legali, Gino Angelucci e Rocco Mauro, presidiavano l’aula al primo piano del Palazzo di giustizia di Potenza.
A seguire sono comparsi tutti gli altri, incluso il figlio Vito, e il fratello Domenico. Quindi il presunto titolare di fatto della società che si era accaparrata la gestione, al piano inferiore, del bar del Palazzo di giustizia, Salvatore Sabato. Sia quest’ultimo che la maggior parte dei restanti indagati, tuttavia, hanno optato per la facoltà di non rispondere alle domande del gip. Per capire fino a che punto possono reggere le contestazioni ipotizzate dalla Direzione distrettuale antimafia. Come pure la possibilità che col nocciolo delle contestazioni, rappresentato dall’accusa di associazione mafiosa, finiscano a processo anche una serie di vicende collaterali. Vicende che, talvolta, risultano già al centro di autonome ipotesi di reato, come il concorso esterno dell’ex sindaco Ignazio Petrone, mentre in altri casi restano sullo sfondo.

L’esempio più lampante è il contenuto di alcune delle conversazioni registrate dalle microspie piazzate all’interno del bar del Tribunale in cui si sentirebbe parlare il cuoco, Davide Lauria, che non risulta indagato ma non avrebbe fatto mistero di essere pignolese come Sabato, e di avere anche gli stessi “amici”.

In una nota degli investigatori riportata integralmente nell’ordinanza di misure cautelari del gip Reggio, in particolare, si evidenzia che un’«altra interlocuzione di particolare interesse, anche ai fini della dimostrazione dell’operatività del sodalizio mafioso», avrebbe avuto come oggetto i «recenti risultati elettorali del fratello». Con Lauria che avrebbe sottolineato “il fatto che la sua famiglia pignolese si fosse rivolta alle «persone giuste» affinché potessero stare tranquilli”.
«E noi ci siamo rivolti a chi ci dovevamo rivolgere per questo fatto – è la trascrizione dell’audio, datato 2018, che è riportata nell’ordinanza – e ci hanno garantito che mio fratello… può stare tranquillo… Però, tranquillo…»

Contattato dal Quotidiano del Sud, Cristiano Saverio Lauria, già assessore comunale tra il 2013 e il 2018, e poi rieletto consigliere comunale nella lista a sostegno dell’attuale sindaco di Pignola, Gerardo Ferretti, si è detto “esterefatto” per quanto emerso.
«Non capisco di cosa si parli, e a questo punto è chiaro che dovrò valutare che fare. Mio fratello ha lavorato lì al bar del tribunale soltanto per un breve periodo. Mi sento di poter dire che siamo estranei a certi contesti. D’altronde non abbiamo ricevuto nessuna notifica dalle autorità su questa vicenda».
Nell’inchiesta condotta dagli agenti della Squadra mobile di Potenza e del Gico della Guardia di finanza si ipotizza l’esistenza di una vera e proprio associazione mafiosa di base a Pignola «con ramificazioni su tutto il territorio nazionale e con alleanze con analoghe strutture mafiose operanti in Basilicata, Campania e Calabria».

Tra le attività del clan si citano estorsioni, furti, rapine, traffici di droga ma anche l’acquisizione del controllo «diretto ed indiretto (pure a mezzo di presta-nomi ed anche impiegando le risorse economiche ed i profitti derivanti da altre attività delittuose) di interi comparti economici ovvero di specifiche attività economiche, come quella della grande distribuzione alimentare, della gestione del bar-caffetteria presso il Palazzo di Giustizia di Potenza, ovvero quella della gestione telematica di videogiochi con vincita in denaro».

Tra i reati contestati al capoclan Saverio Riviezzi c’è anche quello di aver fornito l’auto utilizzata per l’omicidio di Giancarlo Tetta, nel 2008 a Melfi, agli alleati del clan dei Cassotta.

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