X
<
>

Share
4 minuti per la lettura

«UN SOLIDO impianto accusatorio, emerso da un quadro indiziario forte e circostanziato a carico di Guerino Buldo, Biagio Riccio ed Eugenio Torino. Siamo molto soddisfatti del lavoro svolto finora e dell’esito che hanno avuto le indagini, di cui abbiamo portato a compimento solo la prima tranche».
Sono le parole del sostituto Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Lagonegro Francesco Greco, titolare dell’inchiesta denominata “Teseo” coordinata dal capo della DDA di Potenza Luigi Gay. «Non abbiamo ancora provveduto a svolgere gli interrogatori degli arrestati – continua il sostituto Greco – che faremo di concerto ai colleghi del capoluogo e per i quali siamo in attesa della calendarizzazione. Le attività investigative proseguiranno sicuramente – ha affermato, lasciando intendere la volontà degli inquirenti di seguire la pista dei collegamenti con gruppi criminali di fuori regione – ma intanto abbiamo intenzione di portare a procedimento quanto appurato finora, per cui credo e spero che nel giro di due-tre mesi potrà cominciare il processo a carico degli imputati in merito ai reati che gli vengono contestati».
Vale a dire l’associazione per delinquere finalizzata all’estorsione con l’aggravante del metodo mafioso.
Un’accusa pesante, sostanziata da intercettazioni ambientali, riprese video e trascrizione di messaggi dal contenuto minatorio.
Oltre che dalle testimonianze delle vittime dei taglieggiamenti: tutti imprenditori del Lagonegrese interessati ai lavori di ammodernamento della autostrada A3 Salerno-Reggio Calabria.
Nell’Ordinanza di custodia cautelare in carcere ed applicazione degli arresti domiciliari a carico di Buldo, Riccio e Torino firmata dal GIP Amerigo Palma si osserva che «la richiesta del pubblico ministero appare fondata e deve essere pertanto accolta, poiché sussistono gravi indizi di colpevolezza in ordine ai reati contestati agli indagati. Dal corposo e circostanziato compendio indiziario acquisito ad opera dei Carabinieri – i militari della Compagnia di Lagonegro comandata dal capitano Luigi Salvati Tanagro – emerge la sussistenza di un consolidato sodalizio criminoso tra i tre odierni indagati attivo nel centro di Lagonegro, dedito ad una molteplicità di richieste estorsive, anche con attentati dinamitardi, ai danni di vari noti imprenditori locali. Una compagine criminosa – continua l’ordinanza – con base logistica nel negozio di macelleria gestito dal Riccio Biagio ed utilizzato come centro di incontro tra loro per pianificare le illecite richieste di denaro ai danni delle vittime e discutere delle strategie intimidatorie, più o meno persuasive, nei loro confronti oltre che per ricevere queste ultime subito dopo, in una contiguità temporale e di circostanze (stranamente mai legate all’acquisto di alimenti ) che non lascia dubbi sulla riconducibilità degli incontri al pagamento del cosiddetto pizzo».
Incontri che «spesso si verificavano alla presenza di altri pregiudicati (…) secondo un protocollo criminoso consolidato, caratterizzato dal medesimo modus operandi, costituito dall’utilizzazione di bombole per il gas (dello stesso tipo), messe verosimilmente a loro disposizione dal nipote del Riccio (…) e l’utilizzo di inneschi “a fuoco” per farle esplodere. Il tutto seguito o preceduto, a seconda dei casi, da sms dal contenuto estorsivo ed esplicitamente minatorio, inviati da cabine pubbliche di ospedali e autogrill del salernitano».
Circa una decina gli episodi appurati cui si fa riferimento nell’ordinanza: il primo, avvenuto il 13/05/13, consistette nell’incendio di una beto-pompa della ditta Bulfaro spa per un danno stimato di circa 200.000 euro; poi ci furono i rinvenimenti degli ordigni esplosivi presso un ristorante e l’abitazione di un costruttore, infine, il 30/05/14, la reiterazione delle minacce attraverso l’invio di messaggi con cui veniva del denaro a Bulfaro Antonio e al figlio Giuseppe. Sempre nel maggio scorso era stata registrata una conversazione all’interno della macelleria tra Riccio e Torino, nel corso della quale quest’ultimo si lamentava della situazione economica «aggiungendo che sarebbe andato a fare “qualche scippo”, giacché già ne aveva “fatti tre o quattro”» ed insisteva sulla necessità di «far esplodere la bomba». Pertanto, sottolinea il Gip, è stata dimostrata «l’esistenza di un programma delittuoso da parte degli indagati volto ad una forma di controllo delle attività economiche altrui» che giustifica le misure cautelari richieste «per la caratura criminale e la forza intimidatrice delle loro personalità, dimostrata dal timore manifestato dalle persone offese nel denunciare l’esatto accadimento dei fatti».

Share

COPYRIGHT
Il Quotidiano del Sud © - RIPRODUZIONE RISERVATA

Share
Share
EDICOLA DIGITALE