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LA cerimonia di inaugurazione del XXXII anno accademico dell’Università degli Studi della Basilicata, che si è celebrata qualche giorno fa a Potenza, mi offre l’occasione per riflettere sul ruolo e sul valore aggiunto che l’Ateneo garantisce al nostro sistema territoriale.

È ormai acquisita e assimilata l’idea che l’Università, oltre a produrre e trasferire conoscenza e innovazione, abbia una terza missione, quella dell’apertura verso l’esterno allo scopo di fertilizzare il contesto locale.

Vorrei, in questa sede, concentrarmi su un aspetto su cui la nostra Università può fare tanto in una regione, la Basilicata, e in una città, Potenza, che vivono un momento di sfiducia rispetto alle prospettive di sviluppo.

In fasi come questa bisogna recuperare e ripensare il ruolo civile dell’Università, inteso innanzitutto come capacità di arricchire la discussione pubblica, interagendo, da una prospettiva critica e autonoma, con i processi sociali e politici e anche con le scelte di governo. Ciò in virtù della capacità, propria degli Atenei, di produrre quello che lo scienziato sociale Charles E. Lindblom chiamava “usable knowledge”: conoscenza prodotta dall’interazione e da utilizzare nei processi sociali e di governo. Conoscenza rigorosa, interdisciplinare, costruita intorno a problemi rilevanti nell’agenda pubblica, ma anche capace di generare nuove possibilità, di tracciare strade alternative e di aprire nuove opportunità per la scelta collettiva.

Venendo alla nostra dimensione urbana, l’Unibas può rappresentare il centro propulsore di idee e progetti volti al riscatto e al rilancio della qualità dell’azione pubblica, agente di promozione di un nuovo modello di governo della città alimentato da concetti quali resilienza, riuso e riattivazione dei capitali urbani.

L’agenda urbana 2014-2020, la necessità di reimmaginare il modello urbanistico della nostra città, l’esigenza di rifunzionalizzare alcune aree del tessuto urbano, il bisogno di modernizzare le nostre specificità territoriali (economiche, sociali e ambientali) attraverso investimenti intelligenti in infrastrutture e servizi tecnologici rappresentano solo alcuni punti chiave che possono costituire l’ordito di agenda di lavoro condivisa tra Ateneo e comunità cittadina (istituzioni, ordini professionali, associazioni, singoli cittadini, comitati di quartieri, studenti).

L’obiettivo da fissarci deve essere di medio-lungo periodo e condurre all’acquisizione di metodiche e pratiche che fungano da matrice di politiche attive di creazione di nuovo valore urbano.
In un contesto sociale ed economico in continua e repentina evoluzione, l’Università può e deve “insegnarci a leggere” le trasformazioni in atto e suggerire le soluzioni scientificamente più coerenti e corrette.

Se non operiamo, insieme, un cambio di passo, questa città, e con essa la sua Università, rimangono nel passato. Forse è davvero giunto il momento di ripensare la relazione Università-città, riconoscendo e restituendo all’ateneo la terza missione, quella della comunicazione pubblica.

Realizziamo, in sintesi, le condizioni perché l’Università possa rappresentare partner ideale delle istituzioni locali per la costruzione della cittadinanza scientifica, oltre che una nuova “piazza” della democrazia partecipativa (dove i cittadini si riuniscono per documentarsi, discutere e decidere) e della democrazia economica (dove non solo le imprese attingono conoscenza per l’innovazione, ma i cittadini tutti acquisiscono i saperi necessari per il loro benessere, per la loro integrazione sociale e persino per nuove forme imprenditoriali).

In un tale laboratorio, la stessa politica potrebbe rinnovare la propria cassetta degli attrezzi.

*assessore ai rapporti con l’Università

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