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POTENZA – Mai partecipato a nessuna gara per lo spazzamento della neve a Melfi. Checché ne dica Adriano Cacalano, pentito e peraltro suo cugino, quando parla di “combine” per far vincere una ditta vicina al clan Di Muro, che poi avrebbe subappaltato gran parte del lavoro ai Caprarella, ad Angelo Di Muro e a un altro dei loro soci, proprietari dei mezzi utilizzati.
E’ quanto ha affermato in aula ieri mattina davanti alla Corte d’assise di Potenza Antonio Lovecchio, costruttore ed ex vicepresidente del consiglio comunale di Melfi eletto con una lista civica di centrodestra “Melfiduemilauno”.
Lovecchio si è qualificato come semplice «muratore» evidenziando di aver chiuso l’impresa dopo essere stato coinvolto in un’inchiesta della Squadra mobile di Potenza che ha preso le mosse nel 2008 proprio dall’incendio del suo fuoristrada e gli è costata di recente una condanna a 4 anni e 3 mesi per favoreggiamento al clan Cassotta, gli storici rivali dei Di Muro.
Incalzato dal pm Francesco Basentini Lovecchio ha spiegato di non essersi mai occupato di appalti come consigliere comunale: «Mai detto una parola. Ero lì, facevo la mia presenza e basta».
Prima di Lovecchio è stato sentito anche un altro dei testi convocati dalla difesa di Emilio Caprarella, a processo per associazione mafiosa e colpito di recente dall’ultima inchiesta della Dda di Potenza su affidamenti pilotati e abusi di Potere al Comune di Melfi.
L’ex amministratore della Tekno domus restauri ha rivendicato la correttezza dell’offerta presentata assieme alla Caprarella Emilio srl con cui nel 2009 si erano aggiudicati l’appalto milionario per l’ammodernamento della scuola Nitti. Grazie a un ribasso “monstre” di quasi il 38%.
Il processo contro il clan dei fratelli Angelo e Vincenzo Di Muro è partito dalle dichiarazioni di un altro collaboratore di giustizia, Alessandro D’Amato per cui il clan aveva preso di mira appalti e lavori edili nella città federiciana come le opere del centro commerciale “La nave” e il progetto della nuova ala del cimitero comunale grazie a un sistema di imprese collegate gestite dai fratelli e da un loro uomo di fiducia, Emilio Caprarella.
Per i due fratelli, in realtà, il processo si è già concluso in primo grado a maggio del 2013 con la condanna in abbreviato rispettivamente a 12 e 14 anni di reclusione per associazione a delinquere di stampo mafioso più una rapina a Sanremo nel 2010. Con loro è stato condannato anche Nicola Lovisco (10 anni), ritenuto a sua volta appartenente al clan Di Muro-Delli Gatti, mentre Michele Morelli e Donato Prota dovrebbero scontare 7 anni di reclusione per associazione a delinquere di stampo mafioso coi rivali del clan Cassotta da cui secondo l’accusa si sarebbero distaccati da metà del 2008 per transitare con gli altri.
Il solo D’Amato deve anche rispondere dell’omicidio di Bruno Cassotta per cui sono stati assolti in primo grado Prota, Morelli e i fratelli Di Muro.
La prossima udienza è stata fissata per il 28 aprile.

l.amato@luedi.it

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