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POTENZA – Si sono seduti di fronte ai giudici da testimoni, ma si sono alzati da indagati, Canio Marra e l’ingegnere Guido Bonifacio, ieri mattina nell’ultima udienza del processo sull’ “allegra” gestione dell’Asi.
Il funzionario e il dirigente del Consorzio industriale di Potenza sono stati interrotti nelle loro deposizioni dal presidente del collegio, Aldo Gubitosi, con l’invito a nominare un difensore di fiducia.
A suscitare la reazione del Tribunale sono state alcune dichiarazioni in cui entrambi hanno affermato di aver preso parte ad alcune delle procedure “incriminate”, applicando quella che era la prassi vigente all’epoca dei fatti. Di qui l’accusa di aver concorso nel reato contestato agli imputati, che ora passerà al vaglio del pm dopo la trasmissione del verbale di udienza in procura.
Marra e Bonifacio erano comparsi in aula come testimoni della difesa di Mario Cerverizzo, ex direttore generale, dal 2012 in Regione come dirigente esterno.
A giudizio in tutto ci sono 11 persone, tra cui Cerverizzo, l’ex presidente Mario Vasta, il consigliere regionale Paolo Galante (ex cda, ndr), più Donato Scavone, Angelo Ruggiero, Rocco Sarli, Nunzio De Canio, Pompeo Pisani, Graziano Gerardo, Alfredo Rocco e Rocco Tramutola.
Per loro le accuse vanno a vario titolo dall’abuso d’ugfficio al peculato, per una vicenda che si riferisce all’utilizzo delle risorse economiche del Consorzio per lo sviluppo industriale di Potenza, tra il 2007 e il 2008, da parte degli stessi componenti del cda.
L’indagine è stata condotta tra il 2007 e il 2008 dai militari del nucleo di polizia tributaria della Guardia di finanza di Potenza che hanno preso le pratiche gestite nello studio di Rocco Tramutola: commercialista, ex assessore al bilancio del Comune capoluogo, nominato presidente del collegio dei revisori dei conti del Consorzio nel 2007. Assieme a Nunzio De Canio e un altro consulente associato alla sua “firma” Tramutola avrebbe esercitano una certa influenza sulle attività e sulla gestione dell’Asi.
Tra le vicende al vaglio dei giudici c’è anche quella della ditta del genero dell’ex presidente, per cui i tempi concessi per versare il prezzo per un lotto industriale di 3mila metri quadri alla fine si sarebbero dilatati fino a tre volte quelli concessi agli altri. Una delibera di aggiudicazione arrivata a tempo record, sei giorni dopo il deposito della richiesta, a cui sono seguiti due anni solo per attivare le procedure di esproprio dei terreni, perchè non era stato ancora presentato il progetto esecutivo. Poi la corsa a marce forzate per l’assegnazione definitiva e le autorizzazioni necessarie per realizzare le opere previste, nonostante in Consiglio regionale fosse stato già disposto lo scioglimento degli organi dell’ente. Con uno sconticino nel mezzo sul prezzo di riferimento per il suolo.
Canovaccio simile per un’altra ditta, la Stes due, che si sarebbe aggiudicata un lotto di 5mila metri quadri nell’area di Tito nonostante i ritardi nel deposito della documentazione necessaria e una serie di anomalie fatte passare per buone. Qui «l’istigatore» sarebbe stato Nunzio De Canio dato che la Stes Due era tra suoi clienti.
Poi c’è la spesa di 15mila euro per l’assistenza legale nel ricorso al Tar contro la decisione del Consiglio regionale di commissariare il Consorzio, e la delibera del presidente della Giunta che la rendeva operativa. Soldi «distratti dalle finanze dell’ente pubblico», secondo l’accusa. Per la vicenda del ricorso al Tar sono a processo per peculato anche i revisori dei conti che hanno cercato di giustificarsi spiegando che quelle spese per gli avvocati risultavano richieste da Vasta «a tanto autorizzato dal consiglio di amministrazione».

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